i.>-ll• BIA!\CO u..11. nosso iii•iil•P ni futuri non è chiaro, ma non risulta neanche essere in corso un grande dibattito sull'argomento. Se si vuole perciò parlare in modo credibile di unità sindacale bisogna allora parlare con grande franchezza della crisi del sindacato confederale, perché solo da una riflessione e da una analisi comune su questo punto può nascere un progetto unitario. La crisi delle ideologie e la nascita di "nuovi tempi" non bastano. Non esistono spinte oggettive al cambiamenti e l'inerzia della conservazione tende a prevalere. Che in fondo il sindacato, perda un po' di potere e di legittimazione sociale non è da tutti visto come un fatto negativo. L'aggressività delle nuove formazioni autonome mette in discussione il monopolio della rappresentanza conf ederale, ma non la presenza e il ruolo dei sindacati confederali ed è anche vero che dalla competizione tra quest'ultimi e gli autonomi non sono finora venuti svantaggi ai lavoratori. In conclusione non ci troviamo di fronte alla evoluzione naturale del processo unitario, né si può dire che la competizione con le nuove forme di sindacato spinga necessariamente ad una nuova unità. Quest'ultima può scaturire soltanto dalla convergenza progettuale di alcune componenti innovative oggi disperse nelle tre confederazioni. Ma proprio per questa ragione l'unità non può essere il risultato di una composizione meccanica delle componenti esistenti, ma di una trasformazione degli obiettivi e del modo stesso di fare sindacato. Oltre i conflitti: le nuove regole del gioco di Walter Galbusera L a partecipazione dei lavoratori al governo dell'economia e delle imprese impone la necessità di collocarsi all'interno del sistema economico e delle sue regole per concorrere a determinare obiettivi e vincoli della politica economica e sociale della gestione delle imprese. Non si può prescindere aprioristicamente dal principio delle compatibilità inteso come fattore di stabilità, di continuità e di sviluppo. Il sindacato non è una variabile indipendente, ma è parte di un sistema che trae la propria legittimità dal consolidamento di uno stato di diritto teso ad allargare sempre più gli spazi di partecipazione e di controllo (e quindi le condizioni di trasparenza) senza per questo rinunciare alla governabilità. Ed è proprio in questa direzione che si deve sviluppare il ruolo del sindacato attraverso una richiesta di potere anche sotto forma di informazione, con l'assunzione delle responsabilità che ne derivano, soprattutto nel momento in cui la società della manifattura lascia il passo alla società dell'informazione. Circoscrivere alla sola dimensione conflittuale l'azione del sindacato significa subire la pura logica dei rapporti di forza tradizionali, che non solo è miope e inadeguata, ma che finirebbe col trascinare il sindacato all'isolamento e alla sconfitta. D'altra parte la costruzione di sed1 di partecipazione istituzionale capaci di garantire effettivi strumenti di informazione e controllo, come nuova e non esclusiva forma del potere sindacale, non può e non deve essere vissuta come un ridimensionamento degli spazi di libertà individuale o collettivi anche se impone a tutti nuove regole del gioco. In questo ambito la forma storicamente attuale dell'organizzazione della democrazia (a maggior ragione della democrazia economica), è quella della democrazia rappresentativa, fatta di procedure certe e di deleghe trasparenti. Sinora è mancata sul piano unitario una coerente ed organica politica di partecipa-
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