Napoli, Santa Lucia da Pizzofalcone. letto, insidiati da faune repellenti. La terza, a Bisacquino. Non vi erano cimici ma in compenso don Fabrizio aveva trovato tredici mosche dentro il bicchiere della granita ... ». Durava invece un giorno il viaggio per Santa Margherita, ed era l'andare in villeggiatura di ogni anno. Ma chi ne legge la descrizione ne I luoghi della mia prima infanzia, vede chiaramente che il viaggio dei personaggi del romanzo verso Donnafugata, nell'anno 1860, non è che una dilatazione del viaggio dello scrittore bambino, nei primi del novecento, verso Santa Margherita: «La strada diventava montuosa: attorno si svolgeva lo smisurato paesaggio della Sicilia del feudo, desolato, senza un soffio d'aria, oppresso dal sole di piombo. Si cercava un albero alla cui ombra far colazione: non vi erano che magri ulivi che non riparavano dal sole. Infine si trovava una casa colonica abbandonata, semi in rovina, ma con le finestre gelosamente chiuse. Alla sua ombra si scendeva e si mangiava: succolente cose, per lo più... Ci si metteva in carrozza. Erano le due, l'ora veramente atroce della campagna siciliana ... ». ~.tJ.BIANCO l.XltROSSO 11111 iii Uiii Si ha l'impressione che appunto dilatando questi viaggi nello spazio e nel tempo, fino ad abbracciare tutta la Sicilia e tutta la storia siciliana, Giuseppe Tornasi sia arrivato a quella visione e concezione delle cose, del passato e dell'avvenire dell'Isola, di cui nella parte centrale del romanzo è portavoce don Fabrizio, nel colloquio col piemontese Chevalley: «Il sonno, caro Chevalley, il sonno è ciò che i siciliani vogliono, ed essi odieranno sempre chi li vorrà svegliare ... Ho detto i siciliani, avrei dovuto aggiun_gerela Sicilia, l'ambiente, il clima, il paesaggio. Queste sono le forze che insieme e forse più che le dominazioni estranee e gl'incongrui stupri hanno formato l'animo: questo paesaggio che ignora le vie di mezzo fra la mollezza lasciva e l'asprezza dannata; che non è mai meschino, terra terra, distensivo, umano, come dovrebbe essere un paese fatto per la dimora di esseri razionali; questo paese che a poche miglia di distanza ha l'inferno intorno a Randazzo e la bellezza della baia di Taormina, ambedue fuor di misura, quindi pericolosi; questo clima che c'infligge sei mesi di febbre a quaranta gradi; li conti, Chevalley, li conti: maggio, giugno, luglio, agosto, settembre, ottobre; sei volte trenta giorni di sole a strapiombo sulle teste; questa nostra estate lunga e tetra quanto l'inverno russo e contro la quale si lotta con minor successo; lei non lo sa ancora, ma da noi si può dire che nevica fuoco, come sulle città maledette della Bibbia; in ognuno di quei mesi se un siciliano lavorasse sul serio spenderebbe l'energia che dovrebbe essere sufficiente per tre; e poi l'acqua che non c'è o che bisogna trasportare da tanto lontano che ogni sua goccia è pagata da una goccia di sudore; e dopo ancora, le piogge, sempre tempestose che fanno impazzire i torrenti asciutti, che annegano bestie e uomini proprio lì dove una settimana prima le une e gli altri crepavano di sete. Questa violenza del paesaggio, questa crudeltà del clima, questa tensione continua ... ». E tuttavia, dentro tanta violenza, tanta crudeltà, tanta febbre e tanta morte, ecco le oasi della dolcezza di vivere, ecco i verdi paradisi dell'infanzia, ecco la bellezza: il palazzo di Santa Margherita, il palazzo di Palermo. «Anzitutto la nostra casa. La
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