reali che normali; - l'aiuto italiano risulta sempre più legato all'acquisto di beni e servizi nel nostro paese, quindi maggiormente interessato alla promozione dell'attività commerciale e industriale italiana che non al reale sviluppo dei paesi poveri; - eccessivo spazio è stato concesso a grandi progetti, affidati, quasi sempre a trattativa privata, a consorzi di industrie italiane, poco verificabili e con notevole spreco di risorse; - è mancata una reale politica di coordinamento degli interventi, che ha provocato una polverizzazione degli stessi e una mancata presenza nei settori e nelle aree prioritarie; - i fondi pubblici destinati alle attività di cooperazione allo sviluppo poste in opera dalle Ong sfiorano appena il 2% delle risorse totali della cooperazione italiana con i Pvs; - i fondi destinati alle attività di sensibilizzazione, informazione ed educazione allo sviluppo in Italia, sono ridotti ad una percentuale irrisoria; - è carente il controllo del Parlamento italiano e più in generale dell'opinione pubblica, sull'operato del ministero Affari Esteri e della Direzione Generale alla Cooperazione. Le conseguenze di questa situazione si fanno sempre più evidenti e drammatiche: - il collegamento sempre più stretto fra promozione della politica commerciale italiana e cooperazione allo sviluppo provoca un notevole Napoli, Piedigrotta. - .P.lt BIANCO \XttROSSO i Iil iii 141I i iitiiiiiii appannamento delle ragioni umanitarie, politiche e morali dell'intervento italiano a favore dei paesi più poveri; - il finanziamento crescente di grandi progetti è in aperto contrasto con le tesi sostenute dai maggiori studiosi mondiali delle tematiche relative al sottosviluppo, che da anni hanno evidenziato pericoli e fallimenti di questa politica; - l'attacco alle organizzazioni di volontariato popolare provoca il distacco sempre più evidente fra un movimento in crescita nella società civile e «l'intervento pubblico», affossando definitivamente lo spirito e la lettera dell'attuale legislazione e disattendendo le possibili sinergie tra intervento privato e pubblico; - l'impossibilità per le Ong ad onorare gli impegni assunti con le controparti popolari e i Governi locali nei Pvs, oltre a conseguenze anche gravi per le comunità destinatarie dell'intervento. Di fronte a questa situazione le Ong, oltre ad un'opera di costante denuncia e controinformazione, hanno espresso fortissima preoccupazione ed una serie di proposte affinché venga rispettata la legislazionevigente e si attui una politica di cooperazione seria e coerente. Le Organizzazioni non governative chiedono al Governo italiano e al Parlamento: - la riconferma dell'impegno ad elevare gradualmente l'aiuto pubblico allo sviluppo fino allo O,7% del Pii; ■ 55 - la definizione di una chiara politica di cooperazione, nettamente distinta dalla politica del commercio estero; - il costante e attento controllo del Parlamento sulle attività di cooperazione e sui criteri applicati; - la revisione delle norme e dei regolamenti di attuazione, laddove svuotino le innovazioni volute dalla legge; - l'impegno per una definizione di procedure, risorse e tempi certi per le iniziative promosse dalle Ong; - il riconoscimento e la promozione della specificità e della soggéttività del volontariato e della cooperazione popolare non governativa; - l'adeguamento dei fondi dedicati alle attività promosse dalle Ong alla media europea (dal 2% attuale ad almeno il 10%). È da rilevare infine che nonostante l'opera di denuncia e di coinvolgimento del Parlamento e dell'opinione pubblica da parte delle Ong, scarsissima è stata l'attenzione dedicata a queste problematiche dai mass-media. Le Ong hanno diffuso pubblicamente un dossier contenente i dati relativi all'utilizzo dei fondi pubblici per la cooperazione allo sviluppo. Da questo documento si possono ricavare innumerevoli esempi di gestione «dissennata ed interessata» dei soldi del contribuente, impegnati nella costruzione di infrastrutture pressoché inutili rispetto ai reali bisogni delle popolazioni dei Pvs (ad esempio impianti radar per aereoporti) e in alcuni casi addirittura impegnati in attività di carattere para-militare (ad esempio un finanziamento di quasi 2 miliardi a titolo di rimborso al ministero della Difesa per attività di formazione svolta in Italia a favore di personale militare di alcuni paesi africani - Etiopia, Somalia, Tunisia). La crisi della cooperazione italiana ha raggiunto un punto di svolta. O si imbocca la strada dell'aiuto reale a/l'auto-sviluppo dei paesi poveri, valorizzando quelle forze che, in Italia e nel Sud del mondo, da anni portano avanti la battaglia per un diverso rapporto Nord/Sud, oppure si scivola in una forma di cooperazione che non fa altro che perpetuare quest'ingiusto rapporto, volto a sviluppare solamente gli interessi dei paesi industrializzati, risolvendosi in nient'altro che un nuovo e più feroce neo-colonialismo.
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