Il Bianco & il Rosso - anno I - n. 7/8 - ago./set. 1990

Non ci rimane dunque che dichiarare Napoli zona d'emergenza e riempire le galere di camorristi? Oppure occorre continuare nell'oliato sistema, di marca democristiana, che gestisce in silenzio l'accomunarsi dei due volti dell'illegalità, quella dei politici e dei «ceti dominanti», e quella dei sottoproletari? Il solo scopo di questo intervento i,)JI, BIANCO '-Xli.ROSSO 1it 1i1hld è di parlare di un problema che fa incanto e folklore, ma che è in sostanza un sistema di violenza in cui il giusto perde il frutto della sua giustizia. Fra tanti convegni, ne è, a mio avviso, mancato uno: sulla differenza dei rapporti con il potere tra mafia, camorra e 'ndrangheta. Non un convegno penale: i rapporti in concreto sono informali e ben custoditi. Le normali strutture dello Stato non ne verranno mai a capo. Ma cogliere il volto umano, senza demonizzazioni, delle società mafiose, la loro differenza, la loro cultura mi sembrerebbe dare un contributo alla conoscenza di un problema che diverrà esplosivo, al Nord come al Sud, nei prossimi anni. O in quest'anno medesimo. ''Caro amico ti scrivo • • • '' . • tra militanza e poesia ' ' D omenica, 24 giugno 1990. - Caro Vincenzo, sto molto rimuginando in questi tempi, molto decisivi, io credo, per le nostre sorti future: poiché il Pci rientra velocemente nella norma, e a sinistra non c'è forza che possa coagulare, né movimento che possa premere, ma solo le "avanguardie'·' (buone, mediocri, pessime - anche sul piano culturale) della piccola borghesia alfabetizzata del benessere, che va dunque spaccata, portata a contraddizione, chiarita, e da lì va scelto il poco di salvabile, con cui lavorare, dialogare, fare. Ora sto pensando alle due iniziative di cui ti aveva parlato, quella della rivistina meridionale e quella della rivistina contro eper la scuola e gli insegnanti (perché sono convinto che gli insegnanti sono l'unica categoria, per sua collocazione sociale, su cui si possa e debba agire efficacemente, per ora anche provocatoriamente). Non so quanto si riuscirà a fare, ma ci provo; e intanto questo vuol dire essere più presente al Sud, organizzando, mettendo insieme un pò di gente, dando insomma fiato a questa rivistina ancora in embrione (e di cui mi piacerebbe una volta si parlasse, di Vincenzo Consolo sentire le tue idee)... ". Questa, sopra riportata, è parte di una lettera da poco inviatami da un amico - e non so fino a che punto sia legittimo, da parte mia, renderla pubblica, anche se credo che certi "scambi" o dialoghi non appartengano poi tanto alla sfera privata - da un amico, dicevo, inveterato, irriducibile, solitario intellettuale d'opposizione (formula tautologica, quest'ultima: che altro dovrebbe essere l'intellettuale se non il critico costante del sistema, in quale altro schieramento dovrebbe stare, in termini politici, con linguaggio logico, se non in quello oppositivo in cui sta, in termini metaforici, con linguaggio poetico, l'artista?), da un amico, libero intellettuale, che ogni giorno di più mi diventa prezioso e rispettabile quanto più si fa dilagante, epidemica la malattia mortale dell'abdicazione, della compromissione, della miserabile svendita, della mercificazione negli intellettuali e negli artisti. Da un amico, vecchio meridionalista (è stato a Palermo negli anni Cinquanta a operare socialmente; è stato a Torino negli anni Sessanta a operare e studiare nel e il mondo dell'immigrazione contadina ■- ■ ~J meridionale in quella nordica città industriale; è stato a Napoli negli anni Settanta a operare socialmente nelle aree della emarginazione, Dio solo sa quanto profonda e vasta, di quella città; è stato, è stato, è stato: attraverso la vita e le opere di questo mio amico si potrebbe scrivere la storia, dal secondo dopoguerra a oggi di una nobile Italia che mai, nonostante l'alienante sventolio di drappi e l'osceno chiasso su tribune e ribalte la occulti, è scomparsa; da un amico che da un po' di anni, come me, sta a Milano. Sta a Milano e ora improvvisamente e inopinatamente contesta a se stesso e a me questo stare a Milano, e terribilmente mi inquieta, impietosamente - come fanno spesso le persone innocenti - mettendomi di fronte ai miei doveri di intellettuale e di scrittore meridionale e meridionalista che ambiguamente se ne sta in questo limbo di oggi, in questa putrida e trionfante zona franca che è diventata Milano. Contesta il mio essere stato fin qui, e nel tempo sempre più totalmente, "artista", di aver praticato, vale a dire, soltanto sul piano della metafora, praticato di più lo "stile", il linguaggio "poetico", e mi invita ad

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==