~!t BI.\NCO l.XltHOSSO •U•~i•iiJ Sud: Napoli come ''simbolo'' N apoli è divenuta un problema a sé, non più risolvibile nei termini della questione meridionale. Napoli fa parte della questione mediterranea, segnata dal commercio tra culture estranee, punto d'incrocio tra il nord e il sud, in cui i principi non sono mai leggi. Esiste una filosofia napoletana della vita come precaria, propria di una città che vive all'ombra di un cratere e che sa mescolare in sé tutte le culture. Napoli certo civilissima, capace d'accoglienza come di violenza, in cui ciascuno organizza la vita a suo modo e accetta i limiti della sua condizione come il dato stesso dell'esistere. Città che ha il senso del tempo, ma non della perpetuità, che costruisce in precario, guardando al presente, scordando il futuro. Per questo la legge, con la sua volontà di durare indefinitamente, di regolare il concreto mediante l'astratto e il generale, ha in genere a Napoli così poca vita. Napoli vive accanto alle istituzioni, non all'interno di esse. Essa affronta lo Stato differenziandosi da esso. Lo affronta con le sue tradizioni, le sue dignità, i suoi poteri. Napoli galleggia sul vuoto, sulle mille grotte che corrono sotto la città e che sono le custodi· e le immagini del suo segreto. Di queste tradizioni la camorra ha parte. Isaia Sales, in un suo studi sulla sentenza D' Alemi sul caso Cirillo, vede in Napoli «una sfera dell'illegalità come sfera popolare di massa» (Micromega, 2/90, p. 99). Per Sales, la camorra non fa parte dei «ceti dominanti», è, insomma, un'autorganizzazione del sottoproletariato, che gestisce l'illegalità in un accordo di compromesso con i ceti dominanti. Secondo il Sales, sia «i ceti dominandi Gianni Baget Bozzo ti» che il sottoproletariato fanno parte, in modo diverso, della sfera dell'illegalità, che è accettata come tale. Perciò nella sentenza D' Alemi sul caso Cirillo, Sales vede un tentativo dello Stato di cogliere il punto che unisce la camorra e il potere, senza che si identifichino. La camorra è assai diversa dalla mafia: la mafia è una società gerarchica, in cui le regole con il potere istituzionale seguono una forma fissa. La camorra napoletana non ha la «dignità» della mafia siciliana: non ne ha la stabilità istituzionale, non ne ha la sacralità. Il confine tra il ceto dominante e la camorra è però variabile. Nell'intervenNapoli, Galleria Umberto I. to di Cutolo a pro di Cirillo, D' Alemi vede il desiderio della camorra di elevare il suo status, facendosi riconoscere come parte contraente del ceto dominante. Questa interpretazione ha il difetto di essere troppo nitida. Ma la crescita della città di Napoli, la sua finanziarizzazione, messa giustamente in luce da Aldo Schiavone, in conseguenza della pioggia di miliardi dovuta alla legge sul terremoto, organizzata secondo criteri efficaci in Napoli da Cirino Pomicino sono un elemento di una «questione napoletana» che esce oggi da parametri della questione meridionale. Come si può vivere con Napoli divenuta uno splendido mondo a se, in cui la vita è regolata da un flusso spontaneo di sentimenti e di costumi, diversi dalla razionalità e dalle leggi? L'ipotesi più probabile è quella di lasciare al sistema Napoli la sua autoregolazione: il che vuol dire, al massimo, un concordato, informale quanto si vuole, con la camorra. L'altra via è quella di tentare di imporre regole istituzionali. Ma come? Commissariando Napoli? Riconducendola nell'orbita diretta del governo centrale? Come è noto, questo è stato un tentativo compiuto da Orlando a Palermo quando ha affidato a imprese del Nord il risanamento del centro storico palermitano. Ma la mafia è presente ovunque, e l'unico risultato è stata la protesta dei lavoratori e dei sindacati palermitani. Dare poteri legislativi e impositivi alla Regione, secondo lo schema del discorso di Craxi a Pontida? Ma i poteri dello statuto speciale non hanno cambiato niente a Palermo, possono cambiare qualcosa a Napoli?
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