nella prima Democrazia cristiana degli inizi del secolo che guardò alla questione meridionale come questione contadina senza disgiungerla dall'impegno di una salvaguardia della religione insidiata dalla propaganda socialista. Più politica fu l'angolazione di Sturzo che, in alternativa al clerico moderatismo, mirava ad una autonoma presenza dei cattolici con un peculiare progetto. C'erano pregiudizi nel mondo cattolico del Nord che vedeva la chiesa del Sud come chiesa da evangelizzare. L'invio di vescovi del Nord per opera di Pio X, esprimeva spesso, al di là del positivo impatto di alcuni di essi con la realtà del Sud, una mentalità colonizzatrice e un giudizio negativo sulla capacità di clero e laicato e sulla religiosità meridionale. Non così la pensavano vescovi come Monterisi che, pur consapevoli dei mali del Sud, non accettava soluzioni efficientistiche e colonizzatrici. Il richiamo meridionalistico si rafforzava quando la chiesa si accostava ai problemi sociali, e diventava invece evanescente quando si affermava una presenza esclusivamente spirituale e politicamente clerico moderata. Nel secondo dopoguerra possiamo cogliere due diverse sensibilità nell' episcopato meridionale: una si espresse nella lettera pastorale collettiva dell'episcopato meridionale, scritta da mons. Lanza, arcivescovo di Reggio Calabria, che si poneva in continuità con la tradizione del movimento cattolico contadino, l'altra, più preoccupata degli aspetti politici, nella difesa del comunismo e nel governo dei cattolici vedeva l'affermazione della società cristiana. Le elezioni del 1953 fecero capire ai presidenti delle Conferenze episcopali italiane che, dopo 5 anni di governo dc e nonostante le sanzioni ecclesiastiche, i socialcomunisti erano passati da 8 milioni del 1948 a IO milioni, «rafforzandosi prevalentemente nell'Italia Meridionale e Insulare, ove la D.C. (aveva) svolto erroneamente una politica clientelistica». Si temeva che il crollo dei monarchi nel Sud favorisse l'avanzata comunista. Non restava quindi che appoggiare, nonostante la politica clientelare, il partito dei «valori cristiani». La relazione di mons. Bortignon ~li.BIANCO \XILROSSO •h•#hld sul mondo rurale alla Conferenza dei presidenti delle conferenze episcopali del 1955 si ricollegava alla lettera dell'episcopato meridionale del 1948, «però con cautela per la complessità dei problemi». Se si voleva salvare il mondo contadino, affermava il vescovo, il mondo cattolico non doveva slittare a destra sul piano politico e governativo, perché ciò avrebbe avuto ripercussione nociva per la chiesa ritenuta a torto contraria alle riforme e sostenitrice dei ricchi a detrimento della gente rurale. Ma su questo era difficile l'accordo tra i vescovi perché, mentre una gran parte sceglieva una linea centrista, in Sicilia, regione a statuto autonomo, il card. Ruffini difendeva l'alleanza con le destre per non rompere il fronte anticomunista. L'avanzata comunista nel Sud dopo il crollo dei monarchici spinse lo stesso papa Pio XII a volere la costituzione della Commissione episcopale per il Mezzogiorno che insieme alla Conferenza episcopale siciliana e a quella della Sardegna potesse portare a successo iniziative per frenarne la diffusione. Per le associazioni laiche cattoliche venne costituita la Consulta per il Mezzogiorno che avrebbe dovuto essere qualcosa di analogo alla Cassa per il Mezzogiorno, ma per i problemi spirituali. A parte la costituzione di un ente per la diffusione della cultura cattolica, questi organismi non incisero affatto, se mons. Ferro di Reggio Calabria proponeva ancora uno scambio tra elementi speculativi del Sud da inviare al Nord ed esperti nel campo pratico del Nord da inviare al Sud. La questione meridionale rimaneva ancora un fatto di attitudini o di razza. Il fatto è che l'obbligo dell'unità politica dei cattolici lasciava poco spazio alla critica politica e sociale nel mondo ecclesiale. I tentativi di analisi e di critica furono spenti anche a forza di decreti del S. Uffizio. Al di là del giudizio sull'esperienza milazziana in Sicilia, non si volle vedere in essa il segno di un grande malessere del mondo cattolico siciliano e meridionale che era sfociato nell'Unione siciliana cristiano sociale, il tentativo più consistente di rompere il monopolio di una certa classe dirigente emergente, che niente aveva a che fare con l'ispirazione cattolica, ma che si consolidava in forza del clientelismo più sfacciato, delle connessioni con la mafia e del voto obbligatorio dei cattolici. Non ci si rese conto che la realtà dei partiti nel Sud assumeva connotazioni diverse da quelle che avevano in altre parti del paese. Spento ogni tentativo di critica, al mondo ecclesiastico non restava che essere sempre più inserito nel sistema clientelare, senza più capacità di influire nella selezione della classe politica del partito cristiano, rimanendo così supporto più o meno consapevole degli interessi di gruppi di potere che gestivano in senso privatistico le risorse pubbliche. La mafia, la 'drangheta, la camorra costituiscono parte integrante di questi gruppi di potere. Era fuori del tempo il card. Ruffini che ancora credeva di poter difendere la religione e l'onore della Sicilia minimizzando sulla mafia. Vedeva bene invece Paolo VI, che in una lettera dell'agosto 1963 chiedeva a Ruffini «un'azione positiva e sistematica» per dissociare la mentalità mafiosa da quella religiosa. Aveva intuito che non bastava gridare contro il delitto, ma era necessaria una pastorale sistematica, perché un fatto sistemico era la mentalità e la prassi mafiosa nel tessuto di molte zone del Meridione. Nel dopo concilio si fece più pressante nei vescovi il richiamo alla morale sociale e alle riforme. Giocava la svolta conciliare sul ruolo della chiesa nel mondo, ma anche il pericolo degli «opposti estremismi». Fu proprio negli anni 70 che si ebbero i primi richiami da parte dei vescovi sulla mafia e più accorati appelli alla soluzione dei problemi sociali. In parte del giovane clero la motivazione nasceva dal bisogno di credibilità dell'annunzio evangelico che richiedeva da una parte lo sganciamento delle istituzioni ecclesiali da ogni forma di collateralismo politico e conseguentemente la possibilità di un pluralismo politico per i cattolici, e dall'altra la denuncia di un nodo strutturale di gran parte della società meridionale che era costituito dalla prassi e dalla cultura mafiosa. Il vero problema di coscienza per il cattolico meridionale era quello di appoggiare
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