i.).fJ. lllANU) l.XII. ROSSO iii•iii•il La legge sul delle • commerc10 • armi di Mario Sepi I mportante tanto dal punto di vista istituzionale che sul piano dell'innovazione dei contenuti legislativi, il varo della legge sul commercio delle armi è passato però quasi inosservato nei mass media e nei resoconti di stampe. Sul piano istituzionale, questa legge frutto di una iniziativa parlamentare autonoma dal governo e in un certo senso dalle direzioni dei partiti, sostenuta dai movimenti pacifisti, si distingue significativamente rispetto ad un panorama legislativo perennemente occupato dalle iniziative e dalle proposte del governo o dei partiti. In un periodo di generale dibattito sui temi istituzionali, stupisce che questa rara assunzione di responsabilità del Parlamento non sia entrata nella discussione. Una novità che pure indica come sui temi che coinvolgono profondamente la coscienza civile del paese, il Parlamento possa svolgere un ruolo da protagonista. Tuttavia è sui contenuti che la legge è forse ancora più significativa, innanzitutto perché malgrado le opposizioni che questo provvedimento aveva trovato dentro e fuori il Parlamento, esso è stato definitivamente approvato dalle Commissioni Esteri e Difesa del Senato all'unanimità, in secondo luogo perché trovano posto al suo interno, almeno formalmente, risposte a tutte le istanze poste dai movimenti pacifisti e da una parte del sindacato. In particolare è abolito il segreto di stato sulle esportazioni di armamenti, viene prevista una regolamentazione che impedisce le triangolazioni, obbligando il paese importatore a garantire l' «end use», delle armi di fabbricazione italiana, è vietata la vendita dei sistemi di armi a paesi che si trovano in stato di conflitto armato, che non rispettano i diritti umani e civili, che siano oggetto di embargo da parte delle Nazioni Unite. C'è di più: anche il sostegno finanziario ad esportazioni illegali di armi configura un'ipotesi di reato. Sorprende che una legge del genere molto più avanzata anche dei vecchi progetti, che le forze progressiste riproponevano da ben quattro legislature, sia passata e per di più al Senato all'unanimità. Certo in questa vicenda hanno inciso, una volta tanto positivamente, gli scandali continui provocati da una politica di esportazione della nostra industria a dir poco disinvolta e in ogni caso contraria non solo ai sentimenti ed alle aspirazioni di un'opinione pubblica in gran parte pacifista, ma a volte alle stesse esigenze di sicurezza del paese: ha inciso inoltre la distensione Est-Ovest e l'avvio di progetti concreti di riduzione degli armamenti. Ma non c'è dubbio che la paziente opera di pressione fatta dal cartello delle associazioni pacifiste «Contro i mercanti di morte», e da parte di un settore consistente del sindacato abbia avuto un ruolo rilevante per isolare quel complesso militare-industriale che aveva imposto al paese, dietro presunte esigenze di bilancia commerciale e di sicurezza nazionale, la sua spregiudicata caccia ai mercati soprattutto nel Terzo Mondo. In questo quadro nessun partito e nessun uomo politico ha rischiato di affrontare un dibattito politico su questi temi. Tuttavia la legge pone due problemi collaterali la cui importanza potrebbe limitarne una corretta applicazione. Il primo è l'efficienza e l'unità operativa della nostra amministrazione. Di fronte alle difficoltà che hanno dovuto affrontare in questo campo, apparati amministrativi modello come quello francese e quello svedese, la nostra amministrazione difficilmente, sen-
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