~JJ, BIANCO '-Xn,nosso Uti#hhd Il nuovo precariatomeridionale Gli anni '80 hanno visto l'emergenza e il consolidarsi della disoccupazione giovanile nel Mezzogiorno. Gli anni '90 si annunciano come il decennio della disoccupazione e del precariato di lunga durata. La disoccupazione, che in gran parte si trasforma continuamente in precariato, interessa ormai non solo i giovani e per lunghi periodi, ma anche i meno giovani, quelli che hanno ormai varcato la soglia dei 29 anni, l'estremo limite, sancito da tante leggi, dell'età ritenuta socialmente e culturalmente «giovanile». E tutto farebbe pensare che un significativo numero di persone impegnate in attività precarie, ossia in lavori non in grado da soli di garantire una completa autonomia economica dalla famiglia di appartenenza, incominceranno fra non molto a sottolineare la propria presenza perfino all'interno delle fasce di età adulte. In passato esisteva al Sud una figura di precario a vita, il bracciante agricolo, che svolgeva il suo lavoro per tutta la vita. Oggi questa figura di lavoratore non esiste quasi più, ma esiste un nuovo tipo di precario se non a vita certamente per una fase lunghissima della sua vita. Questa nuova figura di occupato instabile si trova soprattutto nei servizi privati, ma anche nella scuola pubblica (come supplente). Modestissimo è tra i precari l'impegno in agricoltura, relegato a una piccola minoranza di donne, e abbastanza trascurabile quello nella piccola industria o nel lavoro autonomo. Spesso si tratta di lavori che non sono suscettibili di trasformarsi in lavori stabili e che sono svolti in settori di attività poco legati direttamente alla sfera produttidi Paolo Botta va: esigua è la capacità che essi hanno di favorire uno sviluppo autopropulsivo dell'economia. Ma a differenza di quanto accadeva in passato oggi queste attività non sono accettate dai soggetti interessati: alla condizione di precario, non certo nuova nel Mezzogiorno, si accompagnano le nuove frustrazioni di chi non la considera definitiva, di chi pur avendo spesso accresciuto il suo livello di istruzione rispetto ai padri non riesce a trovare una sistemazione adeguata. Certo, il titolo di studio medio-alto (diploma o laurea) al Sud (come altrove) è ancora utile per risolvere il problema del lavoro, ma per chi non ha superato la scolarizzazione del1'obbligo (comunque un progresso, sia chiaro, rispetto al passato analfabeta) non è sempre certo di trovare un lavoro stabile in tempi ragionevoli. E ciò alimenta la sacca della disoccupazione e del precariato di lunga durata, che interessa soprattutto (anche se non solo) quelli che non hanno un alto livello di istruzione, oltre che un gran numero di donne. L'offerta di lavoro femminile è talmente aumentata che tra i più giovani ormai le condizioni spesso sfavorevoli sul mercato del lavoro sono molto simili tra i due sessi. L'emergenza donna, con la richiesta femminile di maggior partecipazione al lavoro rappresenta uno dei cambiamenti che hanno enormi riflessi a livello di società nel suo insieme, anche nel Mezzogiorno. Il crollo del livello di adesione a un ruolo tradizionalmente, e fino a tempi non lontani, accettato tranquillamente dalle donne, quello di casalinga, è l'espressione e la premessa delle trasformazioni in atto. Soprattutto tra le più giovani e tra le più istruite questa crisi si accompagna a una crescente disponibilità al lavoro. Infine, un fenomeno che ha due facce contrappose: la riduzione del lavoro manuale e la sua crescente precarizzazione. La prima faccia è quella tipica delle società avanzate, dove declinano le attività in cui il contributo fisico e manuale è prevalente. La seconda faccia è tipica probabilmente del Mezzogiorno, ed è data dall'aumento dei livelli di precarietà del lavoro manuale. Laddove questo rimane è relegato spesso nel ghetto del lavoro precario. E infatti nel Mezzogiorno si riduce il peso del lavoro manuale nelle grandi aziende (che era stato un protagonista degli anni '60, con le «cattedrali nel deserto») e, come si è visto, aumenta il lavoro precario soprattutto nel terziario ma anche all'interno degli stessi settori industriali. Un'ultima annotazione va fatta riguardo alla crescita culturale che ha caratterizzato il Mezzogiorno. Poiché il livello dello sviluppo rimane relativamente modesto, si può parlare di una crescita della società civile che va oltre la possibilità che questa può dare per soddisfare le nuove esigenze. E infatti questa evoluzione non trova un'adeguata risposta nella struttura economica. Basti pensare all'emancipazione della donna di cui si è parlato, che purtroppo spesso si trasforma in crescita della disoccupazione femminile, anziché in una reale partecipazione. I modelli di vita legati alle modificazioni in atto nel mondo occidentale si stanno in altri termini radicando anche nel Mezzogiorno, ma qui non hanno la possibilità di esplicarsi pienamente. Da qui na-
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