Il Bianco & il Rosso - anno I - n. 7/8 - ago./set. 1990

i)JI. BIANCO '-XII.ROS.SO 1110111 Donne e modello di sviluppomeridionale e he le giovani donne meridionali siano le più disoccupate benché altamente scolarizzate, questo è ormai un dato conosciuto. Una spiegazione è che sono disoccupate perché si affacciano sul mercato del lavoro in misura notevolmente superiore alle passate generazioni femminili. Si esplicitano, poi, con aspettative occupazionali alimentate da politiche istituzionali che promettono lavori, per di più quelli corrispondenti al titolo di studio acquisito. Aspettano, quindi, lavori qualificati per cui hanno investito le proprie energie in iter formativi lunghi. Ma leggendo alcuni dati statistici si trovano ulteriori spiegazioni. L'occupazione complessiva aumenta di poco, grazie ad una performance molto positiva del settore terziario, che fa fronte al decremento occupazionale in agricoltura e alla stagnazione nell'industria. Tuttavia, le donne vanno ad accrescere il numero delle non forze di lavoro, perché il terziario non assorbe quelle che erano occupate nell'agricoltura, che costituiva, e costituisce ancor oggi, il settore maggiormente femminilizzato. Nel Mezzogiorno si assiste ad un incremento di popolazione femminile. Tale incremento, in termini percentuali, non è di molto inferiore al resto dell'Italia, anche se non è omogeneo nelle differenti realtà regionali del Sud. Non si assiste, però, ad un incremento dei tassi di attività per la popolazione femminile. La disoccupazione femminile, allora, è da mettere in rapporto al decremento occupazionale nonché alla non esplicitazione del potenziale di lavoro esistente nella popolazione. L'effetto scoraggiamento spiega indi Mirella Giannini fatti non il dato disoccupazionale ma il perché questo dato non è più alto di quello che deriverebbe da una eventuale somma algebrica tra le donne disoccupate e quelle che potrebbero essere forze attive di lavoro. La lavoratrice scoraggiata è tale di fronte ad una segregazione ed emarginazione prodotta dalla domanda di lavoro. È scoraggiata anche in base ad un calcolo di convenienza che la porta ad optare per il lavoro domestico rispetto ad un lavoro nel mercato che le offrirebbe sottosalario e precarietà, che non coprirebbe, anzi accrescerebbe, i costi della doppia presenza nel mercato e nella famiglia. Infatti, un ulteriore sguardo alla composizione della disoccupazione e dell'occupazione femminile per fasce di età mostra che la non esplicitazione nel mercato del lavoro è legata alla difficoltà di uscire, prevalentemente nel ciclo di vita tra 24 e 35 anni, dalle strettoie di una presenza attiva nel lavoro di riproduzione e nella produzione di servizi domestici. Insomma il comportamento occupazionale delle donne meridionali senbra essere condizionato non solo dalla domanda di lavoro ma dalla struttura sociale e istituzionale ai livelli locali e la relativa inelasticità dell'offerta di lavoro femminile alle variazioni della domanda sembra avere cause strutturali. In particolare i comportamenti femminili appaiono come effetti peculiari dei processi socio-economici o culturali che in questi anni caratterizzano la società italiana e, nello specifico, quella meridionale. In questa realtà emergono forti contraddizioni che scaturiscono dalla convivenza di arretratezza e modernizzazione in aree a sviluppo diseguale. Gli impulsi provenienti dal dinamismo della struttura produttiva e dal proliferare di interventi istituzionali non hanno operato grandi inversioni di tendenze nel mercato del lavoro femminile. Alti tassi di disoccupazione, impieghi precari, a bassa qualificazione e a bassa retribuzione rimangono i connotati principali. Perché? L'ipotesi maggiormente accreditata: riguarda un peculiare modello di sviluppo che accresce la debolezza dei soggetti già deboli, che lascia ancora privi dei diritti di cittadinanza quei soggetti che costituiscono la nuova marginalità nella società postindustriale. E nel Sud, dove è stata quasi assente la fase di uno sviluppo endogeno industriale, il passaggio alla società terziarizzata lascia che i soggetti deboli paghino i costi più alti. I soggetti delle fasce professionali obsolete e difficilmente riconvertibili nei processi di trasformazione economica e produttiva, e tra questi la maggior parte sono donne. I soggetti delle fasce giovanili, non del tutto socializzati alle nuove forme organizzate del lavoro tecnologico e postindustriale, i giovani e tra questi le giovani donne. Nelle trasformazioni della struttura produttiva, con la crisi dei poli di sviluppo costituiti dalle grandi imprese a partecipazione statale o dalla decentralizzazione della grande impresa privata settentrionale, con l'emergenza di piccole e medie imprese a strategia di sopravvivenza, la flessibilità che la domanda di lavoro esige significa prevalentemente precariato e mancanza di garanzie. La ridefinizione degli interventi

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