La Campania, per esempio l'area napoletana, in questo contesto potrebbe imprimere una notevole spinta. Le qualificate preesistenze industriali, la presenza di una grande Università, di qualificati centri di ricerca, l'immenso patrimonio ambientale e culturale, so- .P.U- 81.\~0 lXII.Ros.50 •h•&i•id prattutto i giovani, potrebbero rappresentare i punti di forza da cui muovere per una moderna politica di sviluppo. Ma tutto questo pretende qualcosa di più di una lucida strategia, di una concreta manifestazione di buona volontà. Per i meridionali più che per altri sembrerebbe valere il monito di Einstein secondo cui erano ormai prossimi i tempi, e quelli ormai sono già alle nostre spalle, in cui l'uomo per sopravvivere doveva cambiare, ma cambiare soprattutto e radicalmente il suo modo di pensare. La questione meridionale e le imprese L a Confindustria è impegnata a verificare se esiste veramente, a livello di Paese, la volontà di riconoscere al problema nazionale Mezzogiorno la priorità che esige. Per attuare questa verifica ha fatto proposte precise, le quali costituiscono una risposta, dal punto di vista delle imprese, alla questione meridionale. Una prima osservazione va alla cornice istituzionale nella quale si colloca la realtà produttiva delle imprese. Raccoglierei qui tutti i problemi di carattere generale costituenti il primo livello di handicap per chi vuole investire nel Mezzogiorno: ordine pubblico, attuazione lenta e incompleta della L. 64, assenza di coordinamento tra intervento ordinario e straordinario, formazione di livelli di eccessiva burocratizzazione delle procedure, mancata ristrutturazione degli aiuti collegati, ecc. Occorre quindi impegnarsi sul piano istituzionale per il superamento di queste disfunzioni e di questi ritardi. Ritengo tuttavia decisivo - agli stessi fini di superamento degli attuali ritardi di sviluppo del Mezzogiorno con il resto del Paese e con l'Europa - intervenire su alcuni nodi cruciali del tutto specifici, che concernono di Luigi Abete l'attività produttiva e, quindi, direttamente le imprese. Un primo punto di intervento per rendere competitivo l'investimento nel Mezzogiorno va individuato in una diversa formazione e composizione del costo del lavoro in questa area. Voler ampliare la capacità produttiva del Sud, significa: a) introdurre un «salario di ingresso» per i nuovi occupati, tale da garantire alle imprese - anche attraverso nuovi livelli di inquadramento - costi inferiori; b) modificare le attuali regole di avviamento al lavoro, attraverso una generalizzazione della chiamata nominativa, una limitazione della quota assegnata alle categorie protette che sia proporzionale all'uscita dalla categoria di soggetti come, ad esempio, i profughi delle ex colonie, il consolidamento legislativo dei contratti a termine, ed il ripristino dei contratti a finalità formativa. Ma significa, soprattutto, attuare una graduale eliminazione, nell'ambito degli oneri sociali, dei cosiddetti «oneri impropri» che, per il Mezzogiorno, va realizzata con modalità e tempi significativamente ridotti e tempestivi. Un secondo punto di intervento, di = 25 valore altrettanto determinante, è costituito dalla opportunità di utilizzare lo strumento fiscale per fare una politica industriale più aggressiva a vantaggio del Sud. La convenienza ad investire può infatti essere accresciuta con misure che prevedano detassazioni atte a coinvolgere quelle imprese italiane che desiderino ampliarsi, investendo nel Sud anziché in altre zone incentivate dell'Europa dell'Est. Detassando, ad esempio, per un triennio attraverso la deduzione dal reddito di lrpef, Ilor e lrper degli importi corrispondenti all'ammontare degli investimenti realizzati al Sud, e, ancora, applicando analoga detassazione sulle risorse aziendali rivenienti da realizzo di plusvalenze connesse a cessioni di beni e/ o partecipazioni, purché destinate a iniziative di investimento, od anche ad aggregazioni e concentrazioni aziendali, a beneficio delle iniziative meridionali. Altro problema specifico da superare, antecedente i primi due nella sequenza operativa, ma nei tempi e nei fatti purtroppo successivo - in quanto irrisolto, nonostante sia dibattuto e denunciato ormai da lungo tempo - sarà quello del funzionamento delle aree di sviluppo industriale.
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