~!l BI.\NCO l.Xll,ROSSO Ut•#hid Più lavoro reale meno assistenzialismo L e recenti elezioni amministrative hanno descritto un'Italia un po' controcorrente: riottosa e protestataria al Nord dove ricchezza diffusa e piena occupazione facevano credere che la proiezione politica fosse paciosa e soltanto un po' disturbata dal localismo leghista. Al Sud dove la criminalità organizzata, emarginazione economica e disgregazione sociale si miscelano e spesso provocano tumulti e lutti. C'è stato un voto senza sorprese eversive ma anzi un più rafforzato consenso alle forze di Governo. Le espressioni della società vanno in un senso, quelle della politica in un altro: al Nord e al Sud. Tutto ciò ha un senso, una spiegazione minimamente razionale? Ci vorrebbe non un forum, ma un conclave per venirne a capo, ma curiosamente nessun partito finora si è chiuso in una stanza e ne è uscito soltanto dopo aver trovato una risposta. Ma neanche le grandi organizzazioni sociali - come i sindacati confederali o la Confindustria - hanno scelto la strada dell'approfondimento dell'insieme del fenomeno. Certo il Nord manda segnali di indipendenza, il Sud trasuda dipendenza, specie dal potere politico centrale. Ma è una spiegazione? L'intreccio tra politica ed economia è tale, in qualsiasi paese industrializzato, che l'indipendenza non è confortata dai dati dell'economia reale e la dipendenza è una coperta così corta che fa intravvedere i grossi buchi di presenza dello Stato nel Mezzogiorno. Certo il Nord si sente produttore di ricchezza, il Sud più consumatore di beni materiali e di Stato sociale, il di Raffaele Morese primo si vive un po' sfruttato e pure malamente, il secondo è più propenso ad adattarsi. Anche queste connotazioni non delineano spiegazioni definitive perché anch'esse interdipendenti. Comunque una ipotesi di interpretazione si può azzardare. La divaricazione tra società e politica al Nord e al Sud riflette la contradditorietà della funzione dello Stato assistenziale e la sua crisi. Fino a poco tempo fa le classi dirigenti del Nord, ma anche la gente comune, accettavano che lo Stato assistenziale fungesse da mediatore tra il bisogno di progresso al Nord e le aspettative meridionali, sempre rinviate ad un momento migliore. Un ruolo riconosciuto, quello dello stato assistenziale, per assicurare «pace sociale». Lo schema ha retto per quasi un triennio ma ora è andato in tilt; è considerato troppo costoso, improduttivo e sotto certi aspetti non più conveniente. Invece nel Sud lo Stato assistenziale è ancora politicamente pagante ma socialmente è un colabrodo e non riesce a nascondere le sue pecche maggiori: il caso delle 699 braccianti incinte su 700 dipendenti di un'azienda agricola calabrese, scoperte dall'Inps è da manuale. C'è chi dice che allora è il momento di metter mano a questo stato assistenziale. Indubbiamente sarebbe opera meritoria soprattutto se migliorasse la propria credibilità diventando meno sprecone, meno clientelare, più utile ai bisognosi e meno agli imbroglioni e più funzionale ad accrescere la qualità della vita. Se tutto ciò provocasse un palese stop alla tendenza a trasferire ulteriori risorse monetarie dal Nord al Sud, sarebbe una eneomiabile inversione. Ma tutto ciò non basta. Se non si vuole o non si può continuare a far prendere al Sud il tranquillante - attraverso l'afflusso di assistenza - occorre dargli lavoro. O l'uno o l'altro. E sull'importanza di dare lavoro insistono i vescovi italiani con posizioni nette e coraggiose. Un lavoro che può, in parte, essere creato per effetti autopropulsivi. La testimonianza migliore a favore di questa opzione è rappresentata dall'esistenza di decine e decine di aziende nate sotto l'impulso della legge 44. Specie i giovani hanno dato in quasi tutte le regioni meridionali dimostrazioni concrete di iniziativa, coraggio, voglia di innovare. In parte, come ha osservato anche il Governatore della Banca d'Italia, «è necessario l'apporto delle aziende industriali insediate nelle zone più sviluppate del Paese». È proprio così: lo sviluppo del Sud passa ancora per l'industria (ma senza mortificare gli altri settori), il Nord deve «alleggerire» il proprio apparato produttivo (ne guadagnerebbe ecologicamente) e tanto la grande impresa quanto la media e piccola devono pretendere non più soldi a fondo perduto ma servizi reali ed attrezzature adeguate nel Sud. A questo si deve dedicare lo Stato in modo prevalente, sia attraverso la spesa ordinaria che mobilitando le PP.SS. Le forze produttive, sociali e politiche più avvedute del Nord, in altri termini, non possono chiedere, sia pure giustamente, che vengano prosciugati tutti quei canali attraverso i quali scorre la spesa pubblica verso il Sud ma alla quale si attaccano tanti
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