Il Bianco & il Rosso - anno I - n. 7/8 - ago./set. 1990

DJI, BIA!\CO '-Xli.ROSSO IIU•k11diili ria unità tra i lavoratori del settore privato e quello pubblico. La Confindustria porta a casa la promessa dj un negoziato sulla riforma della struttura del salario che si effettuerà il prossimo anno e, quel che più conta, una fiscalizzazione aggiuntiva degli oneri sociali, la cui entità non è stata precisata, ma che dovrebbe aggirarsi intorno ai 1500miliardi di lire all'anno. Il Governo non ha chiarito come saranno trovate le risorse per garantire questi sgravi. Il ministro Cirino Pomicino ha lasciato capire che basterà qualche gioco di prestigio sul bilancio. Resta indicativo che Pininfarina abbia chiesto con insistenza, ed ottenuto, che dal testo dell'intesa dove si parla di "significativa e stabile riduzione degli oneri impropri a carico dell'industria" fosse cancellato il seguito della frase che diceva: «nel quadro delle compatibilità finanziarie fissate dal documento di programmazione finanziaria». In passato il governo ha spesso risolto situazioni di tensione tra le parti sociali concedendo qualcosa e ponendone il costo a carico della collettività. Questa linea di intervento, insieme all'irrisolta questione fiscale e lo sfascio della pubblica amministrazione, ha finito con l'incrementare a dismisura il debito pubblico. Il risultato è che le entrate relative all'Irpef non bastano a pagare gli interessi sul debito. Il permanente ricorso a simili "rimedi" suscita, quindi, fondate riserve. I problemi che si pongono al Paese in vista dell'Unione Economica e Monetaria europea sono infatti quelli di una eliminazione del differenziale di inflazione, di un indifferibile risanamento della finanza pubblica e dell'adozione di regole istituzionali convergenti con quelle delle più forti economie europee con le quali vogliamo integrarci. Persino la possibilità di discesa dei tassi di interesse italiani verso quelli della Germania, della Francia, del Belgio e dell'Olanda, da cui deriverebbe un decisivo sollievo per i conti dello Stato ed un ulteriore miglioramento per quelli delle imprese, dipende dalla decisione con la quale saranno sciolti questi nodi. Con questi problemi la disdetta della scala mobile e la invocazione di una "nuova struttura del salario" che la Confindustria, con un'intera pagina a pagamento su tutti i quotidiani aveva indicato come le condizioni per restare in Europa, c'entrano poco o nulla. Sono servite alla Confindustria semplicemente per drammatizzare le relazioni sindacali e battere cassa al Governo. Non a caso l'intesa Governo, sindacati, Confindustria si limita a dire che quello varato nei giorni scorsi è l'ultimo rinnovo, per legge, della scala mobile ed a promettere che le parti esamineranno in tempi brevi "la struttura del salario". Cosa concretamente questo significhi nessuno lo sa. La formula magica "riforma della struttura del salario" tiene infatti il campo almeno dalla metà degli anni '70. Dalle discussioni di allora si deduce che essa doveva servire a realizzare un rapporto più equilibrato; tra salario diretto e salario indiretto; tra automatismi e contrattazione; tra costo del lavoro e salario netto in busta paga. Da allora passi ne sono stati fatti parecchi. La prima esigenza ha, infatti, trovato una soddisfacente soluzione con gli accordi e la successiva legge che ha fortemente ridimensionato l'indennità di fine rapporto di lavoro. La seconda è stata affrontata con diversi provvedimenti che hanno ridotto (soprattutto nel settore privato) gli automatismi legati al1'anzianità ed il grado di copertura che la scala mobile assicura rispetto all'inflazione, passato, nel giro di pochi anni da circa il 90 per cento a meno del 50 per cento. La terza questione è stata fin'ora parzialmente affrontata con una fiscalizzazione degli oneri sociali di 3.750 miliardi per quest'anno che saliranno a 4.250 nel 1991 ed a 4.500 nel 1992 e che, come si è detto, a partire dal prossimo anno, sarà incrementata di altri 1.500 miliardi all'anno. Anche con questa aggiunta i prelievi italiani sulla busta paga resteranno più elevati rispetto a quelli di alcuni altri paesi europei. Ma a questo fine il negoziato sulla ''riforma della struttura del salario" previsto tra le parti sociali il prossimo anno non può nulla. La soluzione è infatti nelle mani del Governo e del Parlamento che possono ridurre gli oneri sociali decidendo però un parallelo aumento delle entrate fiscali. Innanzi tutto combattendo un'evasione scandalosa (che ci fa davvero diversi dall'Europa) e facendo pagare tutti, aziende comprese, in giusta proporzione. La riduzione degli oneri sociali in parte può anche essere finanziata chiudendo alcuni dei mille rigagnoli con cui si alimenta il fiume di denaro che viene trasferito dal bilancio pubblico al sistema delle imprese. Cosa che naturalmente si può fare. Ma dipende, appunto, dalla volontà politica, non certo dal futuro negoziato tra Confindustria e sindacati. Con questo non si intende dire che non si possa tentare di razionalizzare le voci che compongono il salario, anche se, probabilmente, i risultati saranno impari alla fatica.

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