Il Bianco & il Rosso - anno I - n. 7/8 - ago./set. 1990

sono più sociali che economici ha assunto tratti paradossali da «socialismo reale»: economia statalizzata o dipendente dallo Stato, bassa produttività del lavoro e degli investimenti, predo- ~_lJ. Bl.\'.\(:O lXII.HOSSO •b•#hiii minio delle burocrazie di partito, asfissia culturale. La R&S assolverà al meglio il suo compito se saprà, insieme alle forze sane presenti nel Sud anzitutto i giovani, attivare elementi di autonomia sociale e civile che contrastino la dipendenza. Solo per questa via è sperabile che anche il Mezzogiorno d'Italia conosca il suo «indimenticabile '89». Le due Italie: il Mezzogiorno oggi G ià un secolo fa Giustino Fortunato parlava di «due ltalie». Allora il riferimento era ad una realtà economica e sociale caratterizzata, sia al Nord che al Sud, dalla netta prevalenza dell'agricoltura. I profondi mutamenti strutturali intervenuti successivamente hanno avuto tempi, intensità e caratteri diversi nelle due parti del Paese. Il Nord, favorito - come avrebbe detto Fortunato - «dalla geografia e dalla storia», ha cominciato a industrializzarsi già alla fine del secolo scorso con il sostegno della protezione doganale, delle commesse militari e ferroviarie, e infine dei salvataggi a spese del contribuente. Il Mezzogiorno - salvo alcuni episodi, limitati anche se rilevanti, come quello interessante l'area napoletana - ha cominciato a farlo solo negli anni '60 di questo secolo, in una situazione di persistente arretratezza ambientale, che l'intervento della Cassa per il Mezzogiorno nel campo delle infrastrutture aveva appena cominciato ad affrontare dieci anni prima. L'industrializzazione del Mezzogiorno è un obiettivo che si è dovuto perseguire, a differenza di quella del Nord, in un regime di libertà degli scambi. Alla protezione doganale di cui aveva goduto il Nord per oltre sessant'anni si sono dovuti sostituire di Salvatore Cafiero gli incentivi finanziari e fiscali, di questi però fruiscono in diversa misura anche la generalità delle regioni italiane ed europee. Nel frattempo il progresso tecnico e lo sviluppo dei rapporti internazionali hanno enormemente accresciuto l'entità dei capitali e del know how necessari per creare e gestire industrie competitive: e in una regione in ritardo, è certamente minore la disponibilità dei capitali, delle competenze, dei servizi a questo fine richiesti. Insomma, l'industrializzazione del Mezzogiorno si è certamente rivelata un'impresa più complessa e difficile di quanto sia stata l'industrializzazione del Nord cent'anni fa. A queste obiettive difficoltà si sono aggiunte, soprattutto negli ultimi dieci o quindici anni, quelle di natura politica, relative alla crescente instabilità degli indirizzi e degli ordinamenti e alla crescente farraginosità delle procedure di programmazione e di attuazione dell'azione pubblica di sviluppo. Ad essa è venuto sostituendosi un insieme di interventi di emergenza, divenuti sempre più frequenti a partire dal terremoto del 1980; di essi, per la loro stessa natura, è più difficile il controllo di efficacia e di efficienza. La questione meridionale è ancor oggi, come ai tempi di Fortunato, un problema di sovrappopolazione relativa, di eccedenza cioè dell'offerta di lavoro sulle opportunità di occupazione a livelli di produttività non troppo difformi da quelli in atto nel resto del Paese. Ma fino al secondo dopoguerra la sovrappopolazione meridionale riguardava essenzialmente l'agricoltura e le campagne: si ricorda che l'avvio della politica meridionalistica nel 1950 fu preceduta e accompagnata da grandi agitazioni contadine. Oggi, invece, le manifestazioni del malessere meridionale che più turbano la coscienza civile del Paese sono in gran parte riconducibili alle dimensioni crescenti della sua sovrappopolazione urbana. Il confronto fra le due situazioni esprime sinteticamente la profondità del mutamento intervenuto in quarant'anni nei termini della questione. La disoccupazione strutturale di massa, concentrata nelle città, va considerata essenzialmente come effetto del mancato o insufficiente sviluppo industriale. «Se il Mezzogiorno ha da tempo cessato di essere una società contadina - così si legge nel rapporto Svimez 1989 - è però ancora lontano dall'essere una società industriale. Dalla società industriale ha mutato i modelli di consumo e i valori sociali della mobilità e del successo, ma non la

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