Il Bianco & il Rosso - anno I - n. 5/6 - giu./lug. 1990

B i.)JI.BIANCO '-Xli, ROS..',O iii•iil•h stesso tempo lo coinvolge in circuito di distribuzione di cui è il primo ad averne necessità. Ma è stato proprio il conflitto tra queste due dimensioni, entrambe reali, da accogliere e da affrontare, che ha ispirato i principi di fondo della Comunità Incontro i quali hanno assunto così anche forza terapeutica nei confronti della tossicodipendenza, infatti, alla prima fase in cui, per il timore che in mia assenza i giovani residenti potessero combinare chissà quali cose, io fungevo da unico responsabile del1'andamento della vita quotidiana della comunità, non ho fatta succedere - anche per necessità pratiche - una seconda in cui la conduzione della casa e l'andamento dei rapporti quotidiani veniva affidato alla responsabilità degli stessi soggetti residenti. Questo metodo però ha potuto funzionare, ed ha cominciato a dare dei frutti significativi, per un motivo fondamentale, e cioè perché, tenendo conto (grazie alla mia pluriennale convivenza con soggetti disadattati, emarginati, esclusi dal normale circuito sociale e per di più finiti. Nello stato di dipendenza da droga, alcool, psicofarmaci, o comunque in comportamenti di coazione o evasione psichica, e alla quotidiana frequentazione con le loro famiglie ed ambienti d'origine) del duplice livello di condizione dei soggetti di cui ho detto sopra, avevo potuto offrire loro dei parametri di vita efficaci. E cioè delle condizioni abitative, delle regole da rispettare, dei principi di riferimento, delle strutture che agevolino e stimolino alla comunicazione, alla solidarietà, al dialogo, tali per cui le persone possano esprimere se stesse in una condizione di libertà e di serenità interiori che permettono al soggetto di modulare - attraverso una gestione collettiva - quella maturazione concreta che di tale libertà e serenità sia risultato coerente. Risultato quotidianamente verificabile, non soltanto soggettivamente ma anche e soprattutto attraverso un confronto con un contesto comunitario realmente presente. Proprio a questa formula penso si debba attribuire il fatto che la Comunità Incontro ha subito nel giro di pochi anni un'evoluzione, accelerata ma coerente, secondo due parametri fondamentali; quello dell'apertura e dell'accoglienza verso chiunque presenti un bisogno e faccia richiesta di aiuto; quello della diffusione su tutto il territorio nazionale, e in un secondo momento anche all'estero, attraverso una serie di sedi residenziali che permettano ad un numero non eccessivamente ridotto ma neppure troppo ampio di persone (mediamente 15-20 soggetti) di vivere insieme il proprio autorecupero alla maturità dell'io e alla capacità di costruire e mantenere relazioni sociali positive e propositive. Questo sviluppo in «progetto comunitario» di quanto, inizialmente era stato ed intendeva essere soltanto un mio personale gesto di accoglienza, e che sempre più ha preso le distanze dallo schematismo terapeutico per farsi «proposta di vita» globale è diventato dunque anche - e necessariamente - presenza e proposta sociale e, dunque, in qualche modo anche politica. Politica non certo nel senso di assunzione di un'ideologia, il che non rispetterebbe la libera ed autonoma espressione delle migliaia di soggetti che risiedendo nei diversi Centri della comunità non per questo ci riconoscono in una medesima linea di partito. Politica nel senso di capace di proporre una esperienza concreta, prolungata nel tempo, verificata in migliaia e migliaia di casi personali e di condizioni sociali diverse, con la consapevolezza di non portare avanti un assunto ideologico ma un'esigenza di base. Ed è soltanto in questo senso che anche ultimamente abbiamo potuto e dovuto fare azione politica prendendo parte alla formulazione e all'approvazione del recente dettato di legge sulla droga, nel quale non abbiamo voluto dire tutto su tutte le questioni e a tutti i costi, ma tenere ferma una posizione - del resto per noi già acquisita da anni - sulle modalità più indicate per un approccio coerente ed efficace da parte dello Stato con il mondo della tossicodipendenza. E lo ribadisco ancora una volta qui, quanto abbiamo chiesto allo Stato non è di indicarci le strade del «recupero», ma di offrirci gli strumenti di base che creino le premesse sociali, operative e culturali, necessarie per consolidare e diffondere quell'esperienza di prevenzione e di «recupero» dalla droga che come noi anche tanti altri stanno svolgendo da anni e che invece, in quanto tale, non compete direttamente all'istituzione ma alla collettività. Collettività che se ne deve fare carico, innanzitutto riconoscendo l'entità e la realtà profonda del problema (che non è di sostanze ma di valori, di stili di vita), e di conseguenza acquisendo il concetto che il lavoro delle comunità non è il frutto di una delega ma uno strumento attraverso cui si sperimentano nuovi stili di vita e si propongono modi diversi e più significativi di stare insieme. Riguardo a questo, dunque, quanto chiedia-

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