Il Bianco & il Rosso - anno I - n. 5/6 - giu./lug. 1990

~-Il-BIANCO \XILR~ 1NIIR11 tii 1 iiHM11 ii Islam in Europa, Islam d'Europa L ' ... d' · 1·. d' 1mm1graz1one 1m1g1a1a 1 lavoratori, e in mezzo ad essi di molti provenienti dai paesi musulmani, ha introdotto un fatto radicalmente nuovo in Europa nord occidentale sul piano della storia delle religioni e delle idee. Certamente, i negoziatori degli accordi sull'importazione di manodopera conclusi nell'euforia degli anni d'oro del decennio sessanta con il Maghreb, la Turchia e i paesi dell' Africa nera, considerati necessari per settori industriali che non riuscivano più ad attirare lavoratori dalle riserve italiane, spagnole, greche o portoghesi, non avvertivano certamente tutta la portata e le implicazioni della loro azione. Questi accordi, che dovevano regolare questioni di approvvigionamento temporaneo di manodopera, stavano aprendo invece una nuova fase dell'incontro tra occidente e Islam. Era una fase completamente nuova per alcuni paesi, come l'Olanda, il Belgio o la Germania. Era una fase che prolungava l'incontro coloniale per la Francia e il Regno Unito, e oggi in parte per l'Italia e la Spagna. L'immigrazione massiccia dei musulmani ha avuto luogo durante gli anni settanta questa particolare congiuntura è stata per parecchi aspetti contraddittoria. La chiusura delle frontiere dopo il settantaquattro e la crisi dovuta al primo shock petrolifero ha cancellato definitivamente l'illusione del carattere temporaneo dei cicli migratori. Gli stessi immigrati avvertono la loro inevitabile fissazione sul suolo europeo, perché la crisi che si ripercuote ancora più pesantemente nei diversi paesi e la chiusura delle frontiere che impedirebbe un loro eventuale ritorno nei paesi europei, li obbligano a bloccare il loro destino con quello dello di Felice Dassetto spazio europeo. D'altra parte gli abitanti d'Europa vedono, prima con stupore e poi con rassegnazione che la disoccupazione e eventuali misure spinte al ritorno in patria non costituiscono un vantaggio sufficiente a spingere alla partenza gli immigrati. I meccanismi di mercato e gli eventuali vantaggi economici restano praticamente senza effetto. Tenendo anche conto dello statuto giuridico relativamente favorevole (permesso di lavoro a tempo indeterminato) approntato nel momento in cui era importante garantirsi la manodopera straniera per realizzare queste espulsioni sarebbe necessario utilizzare mezzi autoritari che sono proposti e accettati soltanto da minoranze politiche di estrema destra. L'immigrazione e il radicamento in tempo di crisi, dunque, nel momento in cui è messa in questione la legittimità della loro presenza che era stata al fondamento dell'immigrazione e cioè il lavoro. Nel momento in cui, in ragione della stabilizzazione è necessario un processo di radicamento nella società civile e in quella politica. Questo processo è in corso, con oscillazioni, con tentativi: il potere politico di fronte a un elettorato allarmato osa a stento esplicitare gli orientamenti di ciò che potrebbe essere la via di un processo di integrazione. Questi immigrati più recenti, in maggioranza del terzo mondo (anche se si tratta di un terzo mondo alle porte dell'Europa), e mussulmani, con l'assenza di intellettuali, alle prese con una duplice estraneità e sotto l'influsso di spinte molteplici e contraddittorie avanzano nel disordine. Si può pensare che alla fine degli anni ottanta, nei cinque paesi principali della comunità europea verso i quali si orientavano tradizionalmente gli immigrati, e cioè la Germania occidentale, la Francia, la Gran Bretagna, il Belgio e l'Olanda, circa cinque milioni di essi erano originari dei paesi in cui la religione musulmana è dominante. Essi costituiscono circa il 2,5% della popolazione di questi cinque paesi, ma la loro concentrazione negli spazi urbani da Colonia a Birmingham a Marsiglia, Bruxelles e Stoccolma, rende più manifesta la loro presenza. L'Islam entra così per la prima volta nella storia moderna delle popolazioni dell'Europa occidentale, anche se la relativa proporzione dei suoi rappresentanti resta minoritaria nella popolazione globale del continente. Ciò è tuttavia sufficiente a far si che lo sguardo dell'Occidente cristiano verso l'Islam sia ricondotto dall'esterno verso l'interno delle sue frontiere. L'Islam definitivamente trapiantato in Europa non è più ormai un semplice oggetto di erudizione. È diventato ormai una realtà collettiva e popolare di più; con le altre categorie che definiscono le nazionalità etniche, che si ripropongono attivamente in questa fine di secolo esso diviene una categoria centrale per mettere al loro posto, in termini di identità e contro identità, gli attori della scena europea e definire ciò che è in gioco nei loro rapporti sociali. Non è il più piccolo paradosso della evoluzione dell'Islam europeo, portato da questo grande avvenimento di civilizzazione, ben al di là delle loro intenzioni e spesso evocatore di significati che oltrepassano questo mondo di immigrati. Antichi contadini del Rif e delle pianure anatoliche originari di Tangeri, o pakistani, abitanti del Malì dell'Egitto o del Senegal parzialmente sradicati o in cerca di un nuovo radicamento portatori di un Islam popolare,

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