Il Bianco & il Rosso - anno I - n. 5/6 - giu./lug. 1990

- gli interventi dovrebbero mirare ad essere redditivi e a deconcentrare i poteri di decisione economica. Si tratta - se condivisi e probabil- {)!I. 81.-\~CO lXII.HOSSO •b•#hlii mente non lo sono - di obiettivi complessi che richiedono un cambiamento nel baricentro dei programmi sindacali e nel senso comune dei lavoratori. È impraticabile? Forse, ma le alternative debbono (dovrebbero) essere altrettanto dotate di capacità offensiva e non meramente adattiva. Capitalismo, partecipazione e relazioni industriali L a soluzione di alcuni problemi economici fondamentali delle imprese italiane, la ristrutturazione e la produttività innanzitutto, obiettivi il cui raggiungimento non era scontato solo pochi anni fa, sembra essere tornata oggi di secondaria importanza per i vari attori sociali. Le posizioni cominciano a divergere in modo pericoloso, come appare dalle difficoltà e dalle polemiche che stanno accompagnando i rinnovi dei principali contratti di categoria dell'industria. In alcuni convegni imprenditoriali si sente sempre più spesso il riferimento a quel nuovo spettro del capitalismo vincente che ha finalmente avuto la meglio su quello vecchio del comunismo in disfatta. Perché indulgere a sottigliezze da studiosi per notare le differenze tra il capitalismo selvaggio dei tempi di Marx e del dottor Uree quello odierno di tipo democratico? (Basta considerarle varianti all'interno di un unico sistema trionfante ... ). Non varrebbe certo la pena di soffermarsi su simili reperti ideologici paleocapitalistici, ma viene il dubbio che tra essi rientrino anche gli strali confindustriali lanciati verso il governo che, in una tale situazione, andrebbe contro la storia per dare una mano al sindacato confederale in difficoltà, con la legge sui licenziamenti nelle piccole imprese e con la proroga dell'accordo sulla scala mobile! Sull'altro versante, non sarebbe del di Serafino Negrelli tutto corretto affermare che il sindacato e la sinistra abbiano sempre più nostalgia delle ampie forme di solidarietà e di aggregazione di classe del passato oppure degli accordi centralizzati, che forse hanno contribuito a far emergere più le divisioni interne che le strategie comuni. Ma indubbiamente il coinvolgimento negli obiettivi economici degli imprenditori, ovvero il consenso ad una miriade di accordi.micro sulla flessibilità del lavoro nei settori industriali più esposti alla concorrenza internazionale, ha prodotto risultati inferi ori al previsto. L'indicatore che più di ogni altro segnala questo deficit per i sindacati confederali è certamente l'attacco alla loro rappresentatività nei settori del pubblico impiego e dei servizi pubblici, che sono invece meno esposti alla concorrenza internazionale e più legati al mercato politico. I sindacati industriali italiani sono tornati ad essere più rivendicativi, rispetto al recente passato, perché si trovano nella scomoda posizione di dover rispondere da un lato alla sfida delle nuove rappresentanze di base del settore pubblico, che si sono dimostrate più efficaci nell'azione rivendicativa sulle retribuzioni, e dall'altro lato alle pressioni degli stessi rappresentanti del settore industriale che, dopo aver contribuito in questi anni al ripristino dell'efficienza e della produttività aziendali, chiedono parte dei frutti del loro impegno e dei relativi sacrifici. : 46 Le relazioni industriali in Italia sono ancora senza un progetto. Gli imprenditori e le loro associazioni di rappresentanza, forse più le seconde dei primi, sono responsabili in buona misura di tale stato di cose. Le imprese italiane hanno avuto il merito di adottare nuove strategie e strutture che hanno consentito il secondo miracolo economico. Ma a questa iniziativa manageriale di grande rilievo non se ne è accompagnata una adeguata rispetto alle relazioni industriali. Non è stata finora sfruttata pienamente l'occasione che si è presentata agli attori sociali con la gestione concertata della flessibilità economica a livello di imprese, di aree territoriali e dei settori industriali. Non è stato dato al sindacato un riconoscimento in senso forte, di istituzionalizzazione della leadership confederale e di un ruolo che è stato oggettivamente più vicino ai modelli collaborativi tedesco e svedese che non a quello antagonista inglese. La partecipazione del sindacato italiano alla ristrutturazione delle imprese è rimasta a livello informale, quando non occasionale. Questo dato viene confermato dai risultati di indagini sociologiche e studi di caso condotti nel corso degli anni Ottanta. Anche una recente ricerca promossa congiuntamente da Asap- Intersind e Aisri sulla proceduralizzazione delle relazioni industriali in otto aziende pubbliche dei gruppi Iri, Eni ed Efim, considerati da

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