Il Bianco & il Rosso - anno I - n. 5/6 - giu./lug. 1990

{)!L Bl.-\\'CO '-Xli, BOSSO 11 :ii10111 Risparmioe proprietà diffusa: una questione centrale L ' . l. 1· economia non so o 1ta1ana, ma mondiale (almeno nei paesi ad economia di mercato), vive oggi l'apparente contraddizione fra due distinte esigenze. Da un lato la spinta al gigantismo delle imprese: mai come adesso gruppi, conglomerati, catene miste produttivocommerciali sono gli attori indispensabili di uno spazio mercantile ormai planetario. La qualità da sola non offre più garanzia di successo, se non in nicchie di mercato spesso transitorie. Qualità e quantità devono coniugarsi armoniosamente in un prodotto finale largamente richiesto e diffusamente disponibile. Il conseguente gigantismo imprenditoriale esige una pari robustezza finanziaria: le cifre in gioco sono cospicue e richiedono generalmente la presenza di uno solo o, più spesso, di un gruppo ristretto di «azionisti di riferimento» in grado di sopportarne lo sforzo. Sotto questo aspetto, si va dunque nella direzione di una concentrazione del potere economico. Dall'altro lato, l'aspirazione ad un fruttifero ruolo finanziario ad opera di masse sempre più estese, in una cerchia via via crescente di paesi forti. Superato e talvolta lasciato ampiamente alle spalle il livello del sostentamento, i percettori di redditi di lavoro dipendente o autonomo intendono partecipare anch'essi al rischio di impresa e ai derivanti guadagni, e ne hanno i mezzi. Siamo in presenza di un'aspirazione di democrazia economica non soltanto di Maurizio Sacconi legittima, ma ben avanzata sulla strada del progresso sociale, tale da andare a coincidere peraltro positivamente con un preciso interesse del mercato, poiché la crescente fase di gigantismo degli apparati produttivo-commerciali, coniugata con l'accelerato progresso tecnologico che determina la rapida obsolescenza competitiva dei mezzi di impresa, rende spesso neppure più sufficiente la potenzialità dei pochi grandi azionisti di riferimento. Sotto questo secondo aspetto, si procede dunque verso una disseminazione del potere economico. Sembrerebbe dunque inevitabile la contraddizione che si rilevava all'inizio, non solo per l'oggettiva divergenza dinamica dei due processi ma anche, e forse ancor più, per la notevole discrasia fra gli obiettivi dell'uno e dell'altro gruppo degli attori del mercato finanziario. I primi, i grandi finanziatoriazionisti, mirano a mantenere il controllo delle «loro» imprese disponendo di quote complessivamente sempre più contenute (al limite, anche sotto il livello della maggioranza assoluta), confidando sulla frammentazione della «controparte» costituita dai piccoli azionisti. Questi ultimi, consapevoli che per essi solo l'unione può fare la forza, puntano ad aggregarsi in strumenti collettivi, del tipo dei fondi pensione o di altri investitori istituzionali, con i quali le proprietà delle imprese debbano fare i conti. Eppure, per poter godere di un ordinato progresso economico-sociale, è ■ 4J I - indispensabile pervenire ad una sintesi fra le due predette aspirazioni. Solo cosl si raggiunge l'obiettivo di coniugare e contemperare le capacità imprenditoriali, di cui sono solitamente portatori i promotori d'impresa, con la capacità di mobilitazione selettiva del risparmio, interpretata dalla miriade dei piccoli azionisti organizzati. La ricomposizione può essere rinvenuta in quelle «public companies», caratterizzate dall'assenza di soci largamente dominanti e viceversa dalla presenza di un azionista diffuso ed organizzato, capace di andare negli Stati Uniti, ma i cui (peraltro troppi episodici) tentativi sono finora falliti in Italia. Da noi manca effettivamente ancora qualcosa. Il nostro imprenditore - secondo a nessuno sotto tanti altri aspetti - non si è, nella stragrande maggioranza dei casi, abituato a dover rendere veramente conto ad una massa di risparmiatori organizzati, capace, attraverso la delega agli strumenti collettivi di investimenti, di valutare criticamente, premiando o punendo, i comportamenti e i risultati gestionali. L'arma del piccolo investitore consiste infatti nella possibilità di trasferirsi istantaneamente da uno ali' altro impiego. Per ottenere anche da noi un vero clima di democrazia economicofinanziaria occorre mettere mano, senza ulteriori ritardi, innanzitutto alla creazione del fondamentale strumento dei fondi pensione e dei fondi chiusi di investimento, per valutare poi l'opportunità di favorire, anche attraverso oculati incentivi fiscali del tipo di quel-

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