Il Bianco & il Rosso - anno I - n. 5/6 - giu./lug. 1990

cipare all'esercizio del potere, «laddove la subordinazione nasce storicamente per formalizzare sul piano giuridico l'esproprio del lavoratore dal governo dell'impresa». Sessant'anni dopo, la lotta del sindacato tedesco per il rafforzamento della codeterminazione continua ad essere una «lotta per l'ampliamento dei diritti sindacali» e per il conseguimento di obiettivi di politica economica e sociale, «in un quadro di autonomia dai partiti e dallo Stato». Benché non pienamente soddisfatto dei risultati conseguiti in quasi mezzo secolo di codeterminazione, il Dgb ritiene che il modello della partecipazione debba essere rafforzato ed esteso. In primo luogo, per rendere equivalenti i diritti (di informazione e consultazione) dei rappresentanti dei lavoratori eletti nei Consigli di Vigilanza delle società di capitali, rispetto a quelli dei rappresentanti degli azionisti. In secondo luogo, per dare maggiore effettività a diritti di codeterminazione conquistati contrattualmente, ad esempio in materia di innovazioni tecnologiche. In terzo luogo, e con particolare riguardo ad una politica regionale e settoriale elaborata sempre di più su scala europea, per ampliare le zone di influenza dei lavoratori sulle decisioni assunte ai vari livelli: il Dgb chiede più diritti di codeterminazione nelle scelte organizzative e produttive e più poteri di intervento nelle decisioni politicoeconomiche, mediante appositi Consigli nazionali, Consigli regionali e Consigli economici di settore. 2. Il capitolo della partecipazione dei lavoratori nell'impresa resta forse il più travagliato della storia sindacale recente. In molti paesi, in particolare in Italia e nel Regno Unito, le posizioni dei cd. attori sociali sono sempre stati ostili ad assetti istituzionali; il naufragio, o l'approdo impossibile, di varie proposte di direttive Cee in materia (dalla cd. Quinta Direttiva alla Direttiva Vredeling) sono dovuti soprattutto a tali diversità, nazionali e di schieramento. Non di rado fondati su pregiudizi ed equivoci. I sindacalisti tedeschi hanno sostenuto per anni che oltre i confini della Germania non c'era democrazia industriale perché non c'era la Mitbestimmung. I sindacalisti non tedeschi sostenevano, al contrario, che .Pll • BI.\ ~CO lXII.HOSSO •h•#hld in Germania non c'era democrazia industriale proprio perché c'era la Mitbestimmung. Non mancano invece, in tutti i paesi, motivi di interesse per forme di democrazia industriale. Relazioni industriali partecipative contribuiscono, infatti, al miglioramento della qualità del lavoro e della produttività aziendale, favorendo l'innovazione in condizioni socialmente accettabili. Esse costituiscono, inoltre, un fattore di sicurezza nel contesto, non certo tranquillo e prevedibile, delle competizioni cd. globali. Gli imprenditori ed i sindacati si rendono conto di ciò. Quel che resta difficile concordare sono gli obiettivi e l'ambito di esercizio della partecipazione, prima ancora che le sue forme. Questo non significa però che i modelli partecipativi possano essere utilizzati per limitare la tradizionale azione contrattuale collettiva nell'impresa. La questione pregiudiziale tocca, invece, le «zone di confine» tra partecipazione e contrattazione collettiva, ovvero il coordinamento tra partecipazione e contrattazione. Questione che, a sua volta, chiama in causa quella cruciale del rapporto (e coordinamento) tra rappresentanza dei lavoratori per la contrattazione e rappresentanza per la partecipazione nell'impresa. Questi sono i nodi e gli «snodi» essenziali della partecipazione, ai quali ogni sistema di relazioni industriali (non solo nel contesto dell'Europa comunitaria) dà una configurazione ed una soluzione differente. Codeterminazione, consultazione, informazione, possono essere diverse e variamente regolate anche all'interno dello stesso ordinamento. E possono variare a seconda deJle questioni coinvolte. Tale eterogeneità costituisce senz'altro un limite alla costruzione non solo di forme «chiuse» di partecipazione, nelle quali non sia previsto un coordinamento adeguato tra contrattazione collettiva e partecipazione «istituzionale», ma anche di forme generali, comuni a tutti gli ordinamenti della Comunità europea. 3. La proposta di Società anonima europea, presentata dalla Commissione Cee nell'estate del 1989, ed attualmente all'esame delle competenti sedi comunitarie, ha tentato di superare ■ JO questi ostacoli. Ma non si può dire che vi sia riuscita del tutto. È significativo, anzitutto, che la Commissione eviti di imporre un solo modello partecipativo, proponendo invece tre forme alternative: la prima simile - grosso modo - alla cogestione tedesca; la seconda, esercitabile in appositi organi, non societari, composti da rappresentanti dei lavoratori (come quelli istituiti in Olanda e Lussemburgo, ad esempio); la terza, infine, da definirsi con accordo collettivo (secondo la prassi in vigore in Italia e nel Regno Unito). Malgrado l'adozione di questo metodo gradualistico, che riserva al legislatore - comunitario e nazionale - un ruolo non dirigistico ma promozionale, non sono pochi gli ostacoli da superare. Resta, anzitutto, da chiarire se le tre forme partecipative siano equivalenti, come sostiene la Commissione, oppure no, come oppongono alcuni sindacati, in particolare il Dgb. In quanto membri di un organo societario, i rappresentanti dei lavoratori che partecipano secondo il primo modello ricevono le informazioni, «per la gestione», nel rispetto delle norme dello statuto della Società europea, che regolano i rapporti tra organi della società. Norme che alcuni ritengono più certe e più garantite di quelle che disciplinano i diritti di informazione previsti in base alla terza forma partecipativa, essendo l'esercizio di questi diritti legato al variabile equilibrio dei rapporti collettivi e condizionato dalla valutazione discrezionale della direzione dell'impresa circa il loro carattere di riservatezza. A prescindere da un giudizio di valore su questo o quel modello, non par dubbio che le norme della proposta Cee relative alla prima forma abbiano ambiti più vasti nonché maggiore intensità ed effettività, di quelle che regolano la terza forma partecipativa. Altrettanto controversa è la questione della scelta tra le forme di partecipazione nella Società europea. La Commissione rimette all'impresa la decisione definitiva, in caso di mancato accordo col sindacato. Il che contrasta con l'impostazione del progetto di lasciare le parti libere di regolare la materia. Altre due questioni controverse riguardano le parti stipulanti l'accordo

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