zione dei rappresentanti dei lavoratori. Ma penso che il piccolo terremoto provocato dalla proposta della Fiat di comprendere nel progetto sulla qualità globale del prodotto anche la presenza dei lavoratori nel consiglio di amministrazione richieda una risposta da parte del sindacato e delle forze di sinistra non episodico e occasionale. Non si tratta di rinunciare al conflitto e alla contrattazione per abbracciare esclusivamente la cooperazione e la cogestione ma di definire, dopo il bilancio non ottimale delle pur puntuali e i)JI, BIANCO lX11, HOSSO iit•#dld preventive procedure contenute nel protocollo IRI, quale può essere il futuro della democrazia economica in Italia e in Europa. Certo, la dimensione aziendale in presenza dei processi di verticalizzazione delle imprese può essere limitata e d'altra parte una dimensione solo europea rischia di restringere moltissimo il campo effettivo della partecipazione dei lavoratori; una effettiva democrazia economica richiederebbe anche una partecipazione dei lavoratori alle decisioni che vengono prese in campo economico dai governi senza per questo esautorare i Parlamenti; inoltre il problema della rappresentatività pone in discussione la natura degli stessi attori della democrazia economica. Tutto ciò è vero ma, a mio parere, la complessità di questi problemi non può diventare un alibi per rimanere assenti nel dibattito che oggi è aperto a livello europeo sulla democrazia economica e che si intreccia strettamente con la battaglia per ampliare le competenze sociali della Comunità e democratizzare le sue istituzioni. Partecipazione: la proposta di una Spa L a questione della partecipazione dei lavoratori sembra affetta da una sorta di «sindrome di Dorian Gray»: ostenta un volto giovane, mentre il suo ritratto si copre di rughe. Invecchia, ma pochi sembrano rendersene conto. Che la «teoria» della partecipazione sia vecchia, non v'è dubbio. Così come è certo che la sua pratica, salvo alcune eccezioni, è ancora giovane in molti paesi. 1. Sono trascorsi più di sessant'anni dalla prima compiuta elaborazione sindacale della strategia partecipativa. «Democrazia economica» era il titolo di un documento congressuale redatto da alcuni studiosi tedeschi per il Congresso dell'Adgb del 1928. La partecipazione, mediante la democratizzazione dei rapporti economici, avrebbe dovuto garantire il completamento della democrazia politica, rimasta allo stadio di enunciazione formale nella Coeuropea di Gianni Arrigo stituzione di Weimar. «L'ideale del socialismo - scrive F. Naphtali, redattore del documento - non può essere concretizzato senza una direzione e una gestione democratica dell'economia. L'essenza della democrazia sta nella partecipazione». Per la prima volta, un sindacato poneva in chiara evidenza l'interesse pubblico per la struttura e la funzione del1'impresa. «Con la disciplina di diritto pubblico della codeterminazione, si riconosce che i rapporti all'interno delle singole aziende non sono un affare privato dell'imprenditore e dell'operaio, intesi come individui singoli, ma assumono rilievo per la collettività intera». Mettere in risalto l'interesse pubblico per l'impresa non significava, però, per l' Adgb, confondere il progetto di partecipazione con una conciliazione permanente, nelle aziende, tra datori di lavoro e lavoratori dello stesso settore, perché, «se costoro raggiungessero : 29 un accordo senza tener conto degli interessi di altri gruppi, di altre categorie di lavoratori ma anzi, ai danni di questi, allora non si tratterebbe di una democratizzazione dell'economia ma del suo esatto contrario». Il merito degli autori di Democrazia economica fu quello di contribuire alla costruzione di una teoria generale del diritto del lavoro e dell'azione sindacale affrancata dalla sudditanza del diritto civile e del diritto commerciale, al fine non solo di superare la disuguaglianza sostanziale tra le parti del rapporto di lavoro (formalmente uguali), ma soprattutto di consentire ai lavoratori organizzati di contrastare la posizione dominante degli imprenditori nelle singole aziende e nell'economia nel suo complesso. L'idea di democrazia economica (o industriale) appare dunque legata, fin da suoi esordi, alla costruzione di un «contropotere» organizzato per parte-
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