Il Bianco & il Rosso - anno I - n. 5/6 - giu./lug. 1990

B compagnare i mutamenti, si sforza di regolamentarli e, sia pure con timidezza, tiene conto dei loro risvolti sociali. Nondimeno proprio quando tenta di far pesare il parametro sociale come variabile obbligata per assicurare una stabilità alla produzione legislativa comunitaria, registra i maggiori insuccessi. Può far passare una esangue carta sociale, documento dei buoni propositi privi di efficacia pratica, ma non ha la forza né di riesumare la ormai invecchiata direttiva Vredeling né riesce a far camminare la proposta di direttiva sulla partecipazione dei lavoratori nella "società di diritto europeo" con lo stesso ritmo del regolamento che istituisce questa particolare forma di collaborazione societaria sovranazionale. Al dunque le organizzazioni dei lavoratori si ritrovano a dover fare i conti con mutamenti normativi e funzionali di grande rilevanza senza disporre di strumenti adeguati per dominarli. Rimangono in piedi, infatti, nei vari paesi i patrimoni delle esperienze sindacali del passato, che di sicuro hanno perduto buona parte della loro valenza. Lo stesso modello codecisionale tedesco appare obsoleto nel momento in cui la composizione del capitale tende a perdere i connotati nazionali o, quand'anche li mantiene, risulta più complessa, più articolata di quanto non lo fosse in precedenza. D'altro canto, l'assunzione dell'Europa come riferimento del "mercato domestico" comporta sp0>- stamenti delle sedi decisionali, modificazioni delle strategie e allocazioni sempre più flessibili dei luoghi di produzione. Ne consegue che codecidere a Stoccarda o a Dusseldorf può risultare del tutto inutile se non si ha il diritto di codecidere anche a Liverpool o a Barcellona. In altri termini, allo stato attuale delle cose, la partecipazione resta contenuta a livello nazionale ed è patrimonio delle organizzazioni dei lavoratori del paese in cui vige; non è punto di contatto, se non informale, con situazioni analoghe esistenti in altri paesi e, dove no.1.esistono eredità del passato similari, non ha la forza e i mezzi per autoesportarsi. È difficile immaginare che questa carenza possa essere superata in tem- {)_(LBIANCO lXll,ROSSO •ir•~i3•i;J che tra i dodici governi europei esiste una notevole convergenza nel non "comunitarizzare" i vincoli sindacali. I governi dei paesi ricchi mirano a svuotare, senza doverlo esplicitamente dichiarare, i condizionamenti che le rispettive storie sindacali hanno loro imposto. P'altro canto, i governi dei paesi più poveri sentono di poter utilizzare proprio la mancanza di questi condizionamenti come fattori di attrazione e di convenienza per gli investitori. Accade così che per motivazioni opposte, un certo spirito anti-sindacale da una parte, e il bisogno di accelerare processi di svilupppo dall'altra, governi di ispirazione diversissima convergono nel non riconoscere legittimità al protagonismo europeo del sindacato. Per altro verso, i sindacati nazionali, preoccupati soprattutto di mantenere il rapporto con le rispettive basi, sembrano ogni giorno di più propensi a rinchiudersi nelle quattro mura di casa, pur dichiarando grandi aspirazioni europeiste. Non si rendono conto che a disegnare i tratti di un diritto del lavoro europeo e soprattutto di un diritto alla contrattazione a dimensione continentale non possono essere le istituzioni comunitarie per mancanza di poteri, è il caso della Commissione e del Parlamento, o per mancanza di volontà politica, è il caso del Consiglio. Si pone oggi urgentemente il propi brevi, perché è un dato di fatto Stabilimento tessile di Mantova -·. -- 2(, blema della definizione di un protagonismo sindacale europeo che, più che fondarsi su specifiche rivendicazioni nell'immediato, deve essere orientato a sostenere le modifiche istituzionali che azzerino o quanto meno riducano il così detto deficit democratico. Occorre, cioè che i sindacati di tutti i paesi assumano come loro obiettivo l'assegnazione di personalità politica e di responsabilità a soggetti rappresentativi, in primo luogo il Parlamento, che attualmente non ce l'hanno e che sono i soli in grado di farsi portatori delle istanze e, se si vuole, delle pressioni e degli interessi del mondo del lavoro in una realtà in cui il diritto è sempre più figlio delle pressioni e degli interessi del mondo degli affari. Se ciò non avvenisse, resterebbero tagliati fuori più di quanto già non lo sono dalla vicenda dell'integrazione economica europea, con la quale sarebbero costretti a misurarsi da una posizione di grande debolezza a giochi ormai compiuti. Si andrebbe incontro, davvero, ad un periodo oscuro, perché nel frattempo, non potendo impedire, e non potendo neanche assumere, i fenomeni corporativi professionali e localistici, si ritroverebbero ad essere privi di un grande disegno strategico e, contemporaneamente, estranei al rivendicazionismo particolaristico.

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