B tuttora incerte, del sistema pensionistico pubblico e quindi gli spazi aperti alle forme previdenziali aggiuntive. Tuttavia il confronto con i Paesi forti europei non lascia dubbi sulla direzione di marcia da prendere: sviluppare fondi di previdenza integrativa contrattati e gestiti con il contributo determinante dei lavoratori. In un mercato finanziario asfittico e povero di operatori come quello italiano i fondi potranno contribuire sia ad irrobustire il pluralismo, sia a neutralizzare gli eccessi della finanziarizzazione, spingendo le risorse verso gli investimenti in beni e servizi. La seconda area, ancora più urgente, è quella dell'impresa, ed in particolare della grande impresa. Qui il ritardo del sindacato e delle forze politiche italiane è particolarmente grave, rispetto all'Europa: l'Italia resta uno dei pochi Paesi senza significative istituzioni di partecipazione in azienda. Persino la Gran Bretagna ha (almeno) una legislazione di sostegno ai diritti di informazione. E questo nonostante il bisogno di partecipazione nell'impresa, sia sottolineato da tutti e con crescente forza dalle stesse grandi imprese, che stanno affrontando una competizione mondiale sempre più difficile, basata sulla qualità. Non a caso aziende come la FIAT che enfatizzano l'urgenza ed i ritardi del loro impegno sulla qualità, nel contempo fanno aperture senza precedenti al sindacato per avviare rapporti ''in qualche modo partecipativi" anche nelle forme forti della partecipazione negli organi gestionali dell'azienda. Altrettanto significativo è che qualche leader sindacale risponda positivamente a queste avances. Ma si tratta di andare oltre gli scambi di battute. Un'occasione propizia erano le trattative confederali con la Confindustria dello scorso inverno; fu lasciata cadere. L'attuale tornata contrattuale sta passando senza indizi di novità. Un eventuale stimolo alla ripresa di iniziativa dovrebbe venire dall'obiettivo del mercato unico europeo, e più immediatamente dal semestre di presidenza italiana che si apre a luglio. Fra le priorità della Cee c'è anche il terna della società europea e dei diritti di informazione. ~.li. Hl.\:\CO lX11. nosso •h•ihid Per noi questo obiettivo vale in modo particolare. Se il nostro sistema di relazioni sindacali vuole sopravvivere in quanto tale dovrà confrontarsi soprattutto con il sistema tedesco, non solo per la forza economica di quel Paese, ma perché tale sistema ha saputo rispondere più positivamente di altri alla sfida della rappresentatività e della competizione internazionale. Ed il sistema tedesco si basa appunto su forme di partecipazione forti che partono dall'impresa, e si estendono alle istituzioni del mercato del lavoro e della formazione professionale, fino alle intese informali della "azione concertata". L'altra alternativa è il declino del sindacato, visibile nelle vicende inglesi e francesi. Il nostro sindacalismo è (ancora) in condizioni organizzative sufficientemente buone (più di altri) per affrontare positivamente il confronto europeo. Oltre tutto l'Italia ha un ruolo di cerniera decisivo fra nord e sud Europa anche nelle relazioni industriali. Si tratta di vedere se il nostro sindacalismo troverà le condizioni politiche per andare a questo confronto. Il che significa fare scelte che finora non ha fatto: cioè integrare significativamente il modello contrattualistico con quello partecipativo. Le divisioni fra le confederazioni e le incertezze strategiche di ciascuna confederazione sono un primo ostacolo da rimuovere se si vuole mantenere un sistema sindacale in grado di reggere al confronto europeo. Un elemento specifico che potrà stimolare, o contribuire a bloccare una iniziativa in materia, è rappresentato dalla questione delle rappresentanze sindacali aziendali. La crisi dei consigli è drammatica, come ha dimostrato la ''inimmaginabile" richiesta di gruppi extrasindacali di riaprire le elezioni delle Commissioni Interne in base al vecchio, e da tempo obsoleto, accordo interconfederale del 1966. La crisi è legata a carenze di democraticità, ma anche a perdita di ruolo. Introdurre forme di partecipazione nell'impresa arricchirebbe le rappresentanze aziendali di funzioni integrative di quelle tradizioni di contrattazione, contribuirebbe anche a superare i contrasti esistenti fra le confederazioni circa i criteri costitutivi delle rappresentanze che vivono sulla contrapposizione fra criterio associativo ed elettivo. Una soluzione adeguata può essere quella, prevalente in Europa, di prevedere una doppia struttura di rappresentanza in azienda: una eletta da tutti i lavoratori (come i Comité d'entreprise in Francia, i Betriebsrate in Germania) ed una espressione diretta delle varie associazioni sindacali. Questa doppia struttura ha dato buona prova di sé, ma presuppone una distinzione di ruoli: fra la contrazione, che può spettare più propriamente alla struttura del sindacato, e le attività di partecipazione che sono da attribuire a strutture elette da tutti i lavoratori. Si tratta di una distinzione difficile, ma non impossibile da sostenere. Essa è prefigurata indirettamente anche nel progetto di Statuto della società europea, dove si precisa che gli attori della partecipazione nelle forme ivi previste sono rappresentanze elette da tutti i lavoratori (e quindi non strettamente sindacali). Il sindacato italiano forse non ha fatto molta attenzione a questa disposizione del progetto Cee, come ad altre indicazioni europee; ma a quanto risulta, tale progetto ha avuto su questo punto l'avallo unanime della Ces. Forse è una indicazione significativa anche questa. Certo che la questione è difficilmente rinviabile. La soluzione qui proposta potrebbe anche sostenersi in via contrattuale, come ammette lo stesso progetto Cee. Ma richiederebbe un totale accordo fra le parti e fra i sindacati. In mancanza occorrerà un intervento legislativo: in ogni caso esso sarebbe necessario per dare autorevolezza alla formula sulle rappresentanze sindacali aziendali nei confronti di eventuali "dissidenti". Anche per questo i tempi di una legge sulla partecipazione nell'impresa stanno diventando maturi. La terza area di intervento riguarda la partecipazione salariale dei lavoratori ai frutti della produttività. Negli ultimi tre-quattro anni si è alquanto diffusa la contrattazione aziendale di retribuzioni legate in vario modo alla produttività, per lo più l'iniziativa è stata degli imprenditori.
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