{)JJ,BIANCO '-.XltROS.SO 1i111 CuAii 1 è certo un avamposto del terzo mondo, il divario di reddito pro-capite e soprattutto dei livelli di occupazione con il Centro-Nord tende a crescere. Con esso cresce anche la dipendenza dalla politica. Nelle aree più ricche dell'Italia settentrionale ha invece incominciato a soffiare impetuoso il vento della protesta contro i partiti ed il sistema di potere che essi hanno creato. Si chiede perciò più autonomia dal potere politico centrale. Il disamore, il fastidio per la politica e per i partiti non è una invenzione delle leghe. È una cosa che c'è, e che nasce da una percezione delle difficoltà che paralizza il sistema politico e da una scetticismo non del tutto immotivato sulla sincerità delle intenzioni e delle parole elargite dalla politica. D'altra parte che i servizi sociali forniti dalla pubblica amministrazione ai cittadini - poste, scuole, trasporti, assistenza sanitaria ecc. - siano di pessima qualità, è cosa che tutti sanno e che, quasi tutti, vivono sulla propria pelle. L'inefficienza dello Stato cresce di giorno in giorno e questo sui comportamenti elettorali della gente pesa certamente di più degli sproloqui del senatore Bossi sui «pericoli per la integrità» dei «lumbard». Inefficienza che è correlata allo stato di semiparalisi in cui versa il nostro sistema politico e che la crescente frantumazione politica, e la dispersione in cento partiti, aggrava. Quello che, dunque, sembra in gioco, il passaggio stretto da attraversa~e perché i gesti della politica tornino ad avere senso e persuasività, consiste nel riconoscere lo scacco complessivo del sistema dei partiti, di «questi» partiti, del loro modo di essere, della loro qualità. Non voglio con questo stemperare le responsabilità diverse di ciascun partito. Se perciò la Democrazia Cristiana ha certamente il diritto di ricordare che con la sua guida la democrazia italiana ha avuto durata, ha anche il dovere di riconoscere che la sua decadenza la riguarda da vicino. Mentre, a sua volta, il Partito Comunista si trova oggi nella scomodità di dover riconoscere che la propria storica diversità non era altro che un modo di essere sbagliati. Questo spiega perché «la traversata del Mar Rosso» che Occhetto ha iniziato è probabilmente più faticosa e sicuramente più dolorosa del previsto. Non si tratta quindi di negare la specificità delle crisi delle diverse forze politiche democratiche, ma di riconoscerle piuttosto dentro una dimensione più generale. Se c'è oggi una indiscutibile degradazione ; 2 corporativa, se c'è un drammatico conflitto di tutti contro lo Stato, se l'esigenza di governo viene negata nel rifiuto di una autorità, questo accade anche per la debolezza delle istituzioni, per la loro crescente ossidazione. Ma se le istituzioni sono in crisi di efficienza, di imparzialità, di autorevolezza è perché i partiti le hanno messe in ginocchio. Quelli che le hanno occupate, dove le occupano, e quelli che le assediano, dove le assediano. Esercitare intorno alla constatazione del degrado istituzionale tranquille e giudiziose critiche non sembra davvero sufficiente. Né si può pensare che a questo punto basti chiedere scusa, promuovere qualche ritocco istituzionale in attesa che tutto ritorni come prima. Se si vuole arrestare il degrado, altrimenti mortale per la democrazia italiana, si deve assumere seriamente e nella sua globalità la questione istituzionale. Il che significa, innanzi tutto, che non può essere brandita, usando i referendum elettorale come una clava, o rimossa come se si trattasse di un inutile cavillo. D'altra parte credo che nessuno si sentirebbe di negare una grave crisi del sistema politico. Che però non basta riconoscere, bisogna anche affrontare. E questo, come sempre, può avvenire in due modi. Aspettando che «passi la nottata» (per dirla con Eduardo De Filippo) o riformando il sistema. Verso la prima ipotesi tende una antica tradizione della cultura politica nazionale, attendista, scettica, trasformista. La seconda ha dato, finora, luogo a proposte ancora assai differenziate e purtroppo generiche. Inoltre, da parte di coloro che chiedono di riformare il sistema vengono spesso, incomprensibilmente, se non per ragioni di competizione politica, presentati come contrapposti obiettivi di intervento che sono invece complementari. Penso alla riforma elettorale che, abbandonato il sistema proporzionale, consenta il ricambio politico, maggioranze alternative e quindi una maggiore trasparenza democratica. Penso, inoltre, alla riforma costituzionale che garantisca all'Esecutivo (presidente della Repubblica, o presidente del Consiglio) i poteri, la legittimazione, la capacità di iniziativa per governare. Penso, ancora, ad una riforma regionale che trasformi le regioni da enti di erogazione in governi dotati di autonomia e di responsabilità. Penso, infine, alla riforma della amministrazione dello Stato oggi paralizzata da regole anacronistiche, competenze frammentate e sovrapposte e da soprassalti corpo-
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