i.>Jt BIANCO l.XltllOS.SO Uliiil•D mo allo Stato è di eliminare innanzitutto quelle condizioni di ambiguità che mettono un soggetto tossicodipendente nella condizione di non avere le necessarie verifiche sociali esterne (e pratiche) che potrebbero fargli prendere atto con chiarezza immediata e speculare della propria situazione personale che - chi ha un po' di pratica lo sa - il tossico riesce a mascherare a se stesso in misura incredibile. Solo prese di posizioni chiare e lineari possono aiutarlo a far luce su di sé e ad esercitare la propria libertà nel presentare una indispensabile richiesta di aiuto. La stessa famiglia, del resto, non dispone di molti altri strumenti, se non della chiarezza e della coerenza. Ma, debilitata e confusa com'è nella grande maggioranza dei casi, come può farlo se non ha alle spalle uno strumento legislativo adeguato? Certo l'offerta d'aiuto è indispensabile, ma qui si tratta di farne emergere la domanda. La nostra esperienza dell'ambivalenza, di cui parlavo all'inizio, ci permette di cogliere l'importanza di rapportarci con la persona presa in tutta la sua complessità senza trascurare la sua condizione di coatto alla tossicodipendenza, e quindi di capire quanto sia importante omogeneizzare l'intervento responsabilizzante con quello orientativo che, data la condizione, non può evitare anche una dimensione contro-coattiva. Prescindendo perciò dalla malafede di chi definisce il nuovo testo di legge sulle tossicodipendenze come un disegno criminalizzante e repressivo, riconosco tuttavia in esso - e l'abbiamo voluto anche noi - un aspetto interventista che si serve anche dello strumento della punizione in funzione educativa e chiarificatrice: educativa perché aiuta il soggetto ad abbandonare la strada dei compromessi e a ricercare dentro ed intorno a sé solo motivi ed aiuti per vivere; chiarificatrice perché non concede spazio sociale alla presunzione che possa essere una libera scelta quella di drogarsi ed, eventualmente, di avviare su questa strada anche altri adepti. D'altra parte non mi sembra corretto voler riversare su una legge specifica la funzione di risolvere tutti i problemi sociali e di dare una visione complessiva di un diverso modello sociale che, oltretutto, a questo punto verrebbe imposto per via giuridica. E dunque, come non ritengo che una eventuale legge quadro sul mondo giovanile debba farsi carico di trattare esaustivamente e in maniera particolareggiata il problema della droga per il fatto che : IO questo tocca in particolare i giovani, così, viceversa, non ha senso che una legge sulle tossicodipendenze per essere efficace debba contenere tutti gli elementi per un progetto di rinnovamento sociale. Non sono le leggi i luoghi deputati al dibattito culturale. Ogni legge deve farsi carico di affrontare in maniera complessiva e tempestiva l'argomento che le compete, senza che si pretenda da essa una perfezione che ne ritardi l'emanazione pratica in tempi reali ed operativi. Non ritengo poi rilevante, sotto questo aspetto, la difficoltà spesso sollevata che con un intervento più decisivo lo Stato rischia di rigettare nel cosiddetto sommerso i tossicodipendenti. Prima di tutto perché non è facendo sommergere tutti che si faranno emergere alcuni, e poi perché nessun tossicodipendente è mai emerso da solo, in quanto la droga non lascia spazi di libertà. E dunque non si tratta di eliminare il sommerso cambiandogli l'etichetta ma caricandolo di significato, e cioè mettendolo in piena contraddizione e facendolo emergere per quello che veramente esso è. Del resto, per noi della Comunità Incontro e per i tanti gruppi di appoggio che lavorano con noi sul territorio, in termini assoluti i tossicodipendenti sommersi non esistono. Li conosciamo tutti. Non costituiscono un altro mondo a sé, una specie di pantera che si aggira nei sottoboschi e che nessuno ha mai visto. Sono uguali ai nostri ragazzi, e nessuno meglio di quanti sono usciti dalla droga può aiutarli, convincerli, offrire loro una testimonianza che vivere in maniera diversa è possibile, anzi è molto meglio. Ma proprio i nostri ragazzi hanno imparato questo: per uscire dal tunnel della droga bisogna accettare di percorrere una strada di vita, ed una strada deve avere una direzione, delle regole, dei segnali, una meta. Altrimenti non è una strada, ma una piazza o - peggio ancora - uno spazio vuoto. Ecco: una legge può e deve servire a questo, a darti delle indicazioni e a porti dei limiti perché tu non finisca fuori di strada o perché tu non sia di intralcio, invece che di aiuto, al cammino degli altri. Il camminare insieme, il prefiggersi una meta, la programmazione del cammino, i momenti di sosta, e così via, sono invece di competenza della vita: non toccano alla legge, sono l'essenza del fare comunità.
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