,P.tt BIANCO '-XltROS.SO iiiiiil•P Questo è, in estrema sintesi, il quadro di insieme, sul quale però è necessario innestare una nostra riflessione. Una domanda va fatta al movimento sindacale confederale nel suo insieme: siamo in grado di riproporre una strategia che sia veramente efficace e che sappia ridare risposte concrete sia ai problemi della solidarietà sia alla diversificazione crescente delle esigenze che affiorano nel mondo del lavoro? Vogliamo scegliere di pagare bene il lavoro manuale e non rassegnarci a farlo coprire, in maniera massiccia, dalla immigrazione, clandestina o no che sia? Vogliamo batterci per condizioni di lavoro (ambiente, ritmi, ecc.) che non facciano crescere anche in Italia tante piccole "apartheid" o "reparti confino", che tanto sono i "neri" quelli che ci vanno? Vogliamo tornare a pagare bene un lavoro prof essionalizzato e con maggiori responsabilità, sottraendolo ai vincoli della pura e semplice subordinazione gerarchica? Vogliamo riequilibrare diritti e doveri dei lavoratori dell'industria, dell'agricoltura, dei servizi e del pubblico impiego, sapendo ad esempio che per questi ultimi non basterà il togliere l'ingessatura della dipendenza dalla legge? Vogliamo batterci per aiutare quelle forze già oggi presenti nel pubblico impiego e che sono disponibili a battersi per il riscatto del proprio lavoro da un mercato politico, che ha più di mira le scadenze elettorali che non le esigenze dei cittadini? Solo una progettualità ampia e una convergenza di Cgil Cisl e Uil su questi terreni potranno dare una sufficiente autorevolezza per un ristabilimento di valori all'interno del sempre più complesso mondo del lavoro. Intanto sarebbe bene partire da questa constatazione: nella stagione contrattuale in corso come confederazioni abbiamo esercitato assai scarsamente o per niente il nostro dirittodovere di coordinamento complessivo delle rivendicazioni. Non sarebbe male se, a chiusura dell'attuale fase di contrattazione riuscissimo ad avviare, come Cgil Cisl e Uil, una comune e seria riflessione. La Chiesa cattolica e l'Est europeo di Giovanni Gennari <<A ll'Est ha vinto Dio5>. Così ha detto, qualche settimana fa, Giovanni Paolo Il, e molti in Italia hanno storto la bocca. È difficile, infatti, valutare la forza di verità di questa frase se non si ha chiaramente di fronte cosa è davvero successo all'Est, in Urss da 70 anni, e negli altri paesi da circa 45, per quanto riguarda la libertà delle chiese e dei credenti. Scrivo queste righe mentre la Tv mostra la immagini del trionfo di papa Wojtyla a Praga, accanto al novantenne cardinale Frautisek Tomasek, di fronte al presidente Vaklav Havel e ad un milione di cecoslovacchi in piazza. In Cecoslovacchia, fino a tre mesi fa, c'era- : 9 no solo tre vescovi per 13 diocesi, tutti di età avanzata. Tutti gli ordini religiosi maschili e femminili erano stati soppressi di colpo, in una notte del 1948. Tutti i seminari chiusi. Poi ne era stato riaperto uno, ma sotto il controllo e l'arbitrio totale della polizia politica, e i seminaristi, scelti da questa, erano costretti a studiare obbligatoriamente il marxismoleninismo come unica visione scientifica del mondo. Migliaia di preti e suore, e centinaia di migliaia di credenti avevano conosciuto carcere e lavori forzati, emarginazione e lager. Vescovi e preti erano morti in carcere, alcuni certamente torturati e uccisi. Un cittadino apertamente e pubblicamente credente non poteva
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