i.>!I. I\IA NO) l.XII.HOSSO iii•iil•il brio tra i diversi partiti, il disegno di leggeconsentiva di rispondere alla Corte Costituzionale e alle sue sollecitazioni, ridando ruolo al Parlamento e ai suoi poteri sulle materie dell'informazione. Come è noto, il Senato ha approvato quel testo modificandolo in alcune parti, e subito si sono riaperte le polemiche. L'opinione di chi scrive è che le modifiche al testo definiscono una rottura dell'equilibrio che si era raggiunto. Su un punto soprattutto, quello del gettito pubblicitario, risorsa esclusiva dell'emittenza privata, la rottura dell'equilibrio è tale da incidere profondamente sulle dimensioni di impresa, sulle prospettive di sviluppo, sulla vita delle emittenti minori. Una proposta seria ed equilibrata sulle risorse del sistema deve prevedere due scelte: per la Rai, la possibilità di certezze di risorse pubblicitarie su base poliennale, a garanzia di impostazione di bilanci in grado di operare interventi programmati e mirati; per i network privati, limiti attraverso l'affollamento pubblicitario orario e la raccolta delle concessionarie, con esclusione della attività di raccolta all'estero. Altri interventi non servono, se non a deprimere il settore senza dare fiato peraltro all'industria del cinema e dell'audiovisivo. Anche l'interruzione pubblicitaria dei films va ricondotta a criteri di equità. Giusta la salvaguardia di quegli autori e registi che intendono fare valere il principio della integrità della propria opera. Ma giusta anche la prerogativa di fare altrimenti. Non c'è vera responsabilità senza libertà di scelta. Infine, un vero punto critico della legge. Si parla molto di limiti e di tetti alle concentrazioni, di spot e di pubblicità, di libertà e costrizioni, ma poco di difesa della risorsa prof essionale del lavoro e di democratizzazione del1'impresa di comunicazione. Può esservi una scelta di difesa del pluralismo e della democrazia, nel settore dell'informazione, senza una promozione anche legislativa dei diritti e dei poteri dei lavoratori che vi operano? I sindacati confederali ritengono di no e avanzeranno una proposta per ridare al lavoro e alle sue prerogative il giusto ruolo in questa discussione. Contratti: pubblico e privato a confronto di Silvano Veronese Non c'è dubbio che negli ultimi anni è venuta crescendo in Italia e si è imposta all'opinione pubblica, almeno a partire dall'ultima chiusura della "vertenza scuola", una "questione salariale", ovviamente in termini nuovi che rispecchiano le contraddizioni sociali degli anni '90. Gli inizi degli anni '80 sono stati per i lavoratori dipendenti anni di compressione salariale, dovuti sia a politiche di controllo dei bilanci pubblici che alle forti ristrutturazioni in atto nei settori industriali. La ripresa economica, che mostra di avere un "fiato" più lungo delle più ottimistiche previsioni, ha consentito una crescita notevole di ricchezza per il Paese, facendo riemergere con forza il problema di una sua ridistribuzione da utili e da rendite, come è stato finora, a reddito per i lavoratori dipendenti. E dunque il sindacato, che - ricordiamolo - è stato tra i protagonisti del risanamento economico, torna a rivendicare consistenti aumenti salariali. Nello stesso tempo si sta, però, verificando un nuovo paradosso. Si può certamente affermare che molto della crescita economica è dovuto all'apporto dell'industria, dell'agricoltura e dei servizi per la produzione. Questo pur nella convinzione che, nell'at- : 7 '
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