comunisti) sono le formazioni di sinistra democratica. Nella RDT il partito socialdemocratico sul quale la SPD ha investito non meno di quanto Kohl abbia fatto con i cristianodemocratici, è rimasto molto al di sotto delle previsioni, pur essendo un partito nuovo, sorto dal movimento popolare di opposizione al regime comunista. In Ungheria, a parte il modestissimo risultato del partito socialdemocratico rimasto escluso dal Parlamento, l'Alleanza dei Liberi Democratici che della sinistra copre effettivamente Io spazio politico, ha avuto un esito deludente, anche se si afferma come la seconda forza del paese. .{)JL BIANCO '-Xlt Il.OSSO i I iiit11d MOiit Mith C'è effettivamente di che riflettere. Non è soltanto il comunismo, com'è ovvio, ad essere rifiutato ma qualsiasi formazione che in qualche modo si richiami agli ideali socialisti, di sinistra o più semplicemente progressisti, anche quando i suoi esponenti sono persone che della lotta per i diritti umani e le libertà democratiche sono stati protagonisti diretti e non dell'ultima ora. Questa crisi di rigetto, a livello di grandi masse, verso tutto quanto possa essere visto - anche se impropriamente ed ingiustamente - come collegabile all'esperienza precedente, è una delle conseguenze più nefaste di quarant'anni di dittatura comunista. Con evidente riferimento al caso italiano, Occhetto, in una recente intervista ha sostenuto che il crollo dei regimi comunisti all'Est rischia di avere uno strano "rimbalzo" e di aprire una crisi generale della sinistra anche nelle sue componenti che con quei regimi hanno avuto poco o nulla da spartire. È proprio questo effetto di rimbalzo che la DC ricerca, rievocando il 18 aprile ed ammiccando ai successi delle forze centriste e conservatrici nei paesi ex-comunisti e se il PCI, in piena mutazione, sente di essere più direttamente nel mirino, non è detto che il PSI non debba, anch'esso, preoccuparsene. Una guerra dimenticata S olo poche ed episodiche immagini di qualche Telegiornale in queste ultime settimane danno di tanto in tanto alcune informazioni frammentarie su una delle più lunghe, sanguinose e violente guerre civili che colpiscono l'Africa. È la trentennale guerra dell'Eritrea contro il regime etiopico per conquistare l'indipendenza e le varie guerriglie che da quasi quindici anni oppongono vari fronti etnici al governo comunista del colonnello Menghistu. Le immagini di Massaua bombardata con bombe al napalm esprimono più di ogni altra considerazione a che punto di violenza e di crudeltà si sia arrivati. Ma la storia è cominciata oltre quindici anni fa dopo il colpo di stato che rovesciò il regime feudale di Haile Selassie. Il regime violento e totalitario che si installò generò ben presto un gran numero di rifugiati che in maniere rocambolesche fuggono dal loro paese per evitare una guerra fratricida priva di senso. Dopo lunghe e pericolose vicissitudini una piccola parte giunge a Roma, in attesa di andare in Canadà, unico paese al mondo che accoglie i rifugiati etiopi. Questo gruppo etnico è di gran lunga il più numeroso di quelli di terzomondiali presenti nel nostro paese e grandi sono anche le responsabilità del nostro governo. L'Etiopia è uno dei paesi più aiutati dalla cosiddetta cooperazione internazionale messa in atto dal nostro paese, ma essa anziché favorire lo sviluppo civile e sociale, nel caso dell'Etiopia, costituisce di Carlo Sorbi un vero e proprio sostegno a un governo stalinista e sanguinario. Se siamo rimasti tutti stupefatti della fine dei comunismi dell'Est, ancora più occorre che cresca una forte e decisa presa di posizione del nostro governo, della Comunità Europea e internazionale di condanna di quel regime, nonostante i recentissimi, peraltro goffi, tentativi di "giri di valzer" nel tentativo di rifarsi una faccia meno repellente. Come la Romania, come Cuba e il Nicaragua, (e si potrebbe continuare questa tragica litania del terrore) il marxismo-leninismo esportato ha prodotto, specie nel terzo mondo, solo guerre fratricide, fame e miseria nel folle tentativo di instaurare dei regimi che potessero prescindere dalle variegate componenti culturali e religiose che caratterizzano i vari popoli. L'illusione di forgiare l'uomo nuovo alla luce dell'ideologia comunista, libero dalle alienazioni delle società precedente, è ovunque miseramente fallito, perché quest'uomo nuovo non c'è: è l'illusorio frutto di un delirio mentale. Invece abbiamo le strade del nostro paese piene di rifugiati etiopi; a proposito ... si parla tanto di "vu' cumprà", ma non si distingue quasi mai tra rifugiati politici - che vorrebbero restare nel proprio paese, ma son costretti a fuggire a motivo di una situazione di persecuzione insostenibile - emigranti economici che partono per ricercare migliori condizioni di vita. Ebbene, non possiamo ora non invocare una energica azione del nostro governo a livello di politica estera. Se è vero che tutti ci diciamo sempre che occorre rimuovere le cause che determinano la fuga delle popolazioni terzomondiali dalle loro terre, piuttosto che sforzarsi di assisterle nel nostro paese, questo vale anzitutto per i rifugiati politici, soprattutto allorché si è di fronte a fenomeni di massa. Questo è il caso dell'Etiopia: siamo convinti che occorra al più presto intervenire per riportare la Pace, la Democrazia e il rispetto dei diritti umani e civili in quel paese, unitamente alla accettazione delle pluriformità etniche storiche e culturali che compongono la nazione etiopica, questo significa pure recidere alla radice le complicità e gli interessi nascosti che hanno fin ora impedito una nostra efficace opera a riguardo. Non possiamo dimenticare che l'Italia ha un debito morale nei riguardi dell'Etiopia, ma ci sembra che il meglio che la Repubblica Italiana può esportare non sono oggi né derrate alimentari né tantomeno armi, bensì Demo.craziae Civiltà che peraltro ci vengono riconosciute proprio da quel popolo nel momento in cui, nella disperata situazione in cui si trova, cerca rifugio e protezione da noi. Ci auguriamo che questo appello, che proviene da migliaia di rifugiati etiopi presenti nel nostro paese e da altrettanti volontari italiani impegnati in opere di assistenza e accoglienza, non resti inascoltato.
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