Il Bianco & il Rosso - anno I - n. 4 - maggio 1990

to comunista non ha mai governato in Italia, almeno a livello di sistema politico nazionale. Gli intellettuali presenti non manifestavano alcuna intenzione di liberarsi dal potere del partito (anche ammesso che sia stato oppressivo); pensavano piuttosto a nuove modalità di ingresso o di partecipazione. L'adesione alle euforie dei popoli centroeuropei non mi sembrava spiccata (o prevalente), anche perché sarebbe stata forse imbarazzante. Il partito comunista italiano, autonomo, diverso, migliore finché si vuole, sulla svolta (o sulla fine del comunismo) si era comunque mosso dopo la svolta impressa dalla nuova ed eccezionale leadership del Cremlino. L'amico, avrebbe potuto anche pensare che quella atmosfera potesse essere frutto di improvvisi, o comunque, insperati successi del partito e della sinistra. Ma anche questa impressione, avrei dovuto dirgli, non aveva alcun fondamento. Il disorientamento dell'amico venuto da lontano sarebbe stato grande, quasi come l'imbarazzo del suo accompagnatore. Avrei solo potuto comunicargli il mio disagio, quello derivante dalla percezione dell'equivoco diffuso. Avrei dovuto dirgli che quel gruppo di intellettuali, molti dei quali amici da lunghi anni, non sapeva o non voleva sapere di essere in quella sede dopo un disastro storico, certo il più grande disastro (e fallimento) politico degli ultimi due secoli. Un equivoco (o altro?) in parte, ma solo in parte, scusabile con il mancato coinvolgimento diretto in quel disastro. Ma, se ci pensiamo, questa che può essere una scusante potrebbe risultare una aggravante. La distanza infatti dovrebbe fare aumentare le chances di percezione oggettiva. Inoltre anche sul rapporto solo indiretto con quelle esperienze ci sarebbe molto da dire. E sono le vicende recentissime del partito comunista italiano a dimostrare, un poco paradossalmente, che quei legami erano meno indiretti di quanto si volesse fare ritenere. 'Perché cambiare così rapidamente e così "drammaticamente" infatti se non si avevano rapporti, consonanze, solidarietà, memorie ed esperienze comuni con le cause di questo disastro storico? Questo disagio, manifestatosi in modo così evidente, una sera di due o tre i.)11. BI.\ :\:('.O l.Xll,HOSSO Ub#hid suoi effetti, man mano che si perfezionano e si approfondiscono i contorni del disastro economico, politico, morale, culturale, etico dei comunismi reali. Un tragico disastro che mi sembra reso con rara efficacia nelle parole iniziali di un articolo recente sulla "New York Review of Books" (n. 2, 1990) di uno dei più acuti osservatori delle questioni dei comunismi europei, Timothy G. Ash: "Nell'anno passato morì il comunismo nell'Europa Orientale. 1949-1989 R.I.P. E l'epitaffio potrebbe essere: Niente nella sua vita gli convenne come l'abbandono della vita stessa». E, continua Ash, come d'ora in avanti non potremo più parlare di comunismo, così non sarà più necessario usare la "O" maiuscola per scrivere l'aggettivo orientale da fare succedere ad Europa. Per la ricostruzione della sinistra il superamento di questo equivoco mi sembra una condizione importante, se non necessaria. E il disagio non mi sembra una situazione esclusivamente personale. L'ammissione del disastro non può essere accantonata con un «non ci riguarda, non appartiene alla nostra storia». Basti pensare che coinvolti clamorosamente (e quasi ingenerosamente) nel disastro sono proprio quelle componenti progressiste, e innovative, che in qualche misura esistevano nei partiti comunisti dell'Europa orientale e centrale, e con le quali il partito italiano manteneva fino a ieri relazioni privilegiate. L'ammissione del disastro, con gli atteggiamenti conseguenti, è preliminare ad ogni rifondazione e ad ogni incontro sul programma. E non potrà essere accantonata adducendo un possibile non insuccesso nelle prossime elezioni amministrative. È un ammissione importante per la costituzione di una nuova identità della sinistra. Ed è una ammissione che richiede, specie fra gli intellettuali, una riflessione accurata non tanto sul periodo tormentato e terribile degli anni fra le due guerre, quanto sui decenni recenti della esperienza italiana repubblicana. Specie sugli aspetti di riformismo predicato-riformismo mancato che hanno caratterizzato la linea politica del partito comunista, dalla dura opposizione al primo centro-sinistra fino al rigetto delle politiche di concertazione nella prima metà degli anni '80. Il disastro dei comunismi, tuttavia, mette in crisi tutta la sinistra europea. Per chi si sente legato alle vicende del movimento operaio e socialista può essere agghiacciante la foto pubblicata sul numero di fine marzo dell'Economist, all'interno di un articolo dedicato al cammino verso la destra dell'Europa orientale: una manifestazione di massa in Germania dell'est, forse a Berlino, dove spunta un solo grande cartello con la scritta Willy! Nie wieder Sozialismus. Ma la chiarezza su questioni come queste non è mai troppa. Al tavolo della rifondazione della sinistra dovranno partecipare tutti, a patto però di non scambiare le cause con gli effetti, i disastri con gli insuccessi, i naufragi con le incertezze di rotta. Su questo tavolo sarebbe, a dir poco, inopportuna qualunque pretesa di "primizia" o di "egemonia" da parte dei responsabili, sia pure indiretti, del disastro. mesi addietro, continua a fare sentire i Livorno, gennaio 1921. Il Teatro Goldoni, sede del XVII Congresso Socialista. : 33

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