B quella liberale e quella socialista, che definiscono il nucleo normativo del 'progetto moderno' di una società di cittadini liberi e dotatidi eguali diritti e di pari dignità; la condanna senza appello, in coerenza con questi principi, della esperienza storica dei regimi comunisti al potere nell'URSS e nei paesi dell'Est europeo; una concezione laica, non totalizzante e provvidenzialistica, della storia, e una concezione della lotta politica che, da un lato, esalta la funzione positiva del conflitto e, dall'altro, rifiuta ogni forma di violenza; e l'abbandono della concezione leninista del partito-chiesa, monocratico e integralista, e la fine del centralismo democratico come metodo di governo del partito. Alla luce di questi profondi cambiamenti si può affermare che l'attuale partito post-comunista può garantire rapporti diversi con gli intellettuali fondati sul riconoscimento della loro {)li. Bl.\~(:O lX11.nosso Ut•#hiii autonomia e che ha probabilmente meno bisogno degli intellettuali ideologi, delle vestali dell'ideologia, dei suonatori di piffero che, come diceva Vittorini, «traducono in bel canto, con parole immagini, figure, i problemi della politica» e ha invece bisogno di intellettuali sintetizzatori di divergenti punti di vista sociali' (secondo la concezione di Karl Mannheim), di intellettuali critici capaci di focalizzare singole questioni che permettano di definire la dinamica del cambiamento sociale e i limiti delle strategie politiche di cambiamento e di intellettuali esperti che forniscano le conoscenze - mezzi per elaborare e attuare politiche efficaci di riforma. Affinché intellettuali del tipo delineato svolgano efficacemente il loro ruolo sono necessarie alcune condizioni: in primo luogo, sono necessarie solide competenze professionali, tecnicospecialistiche, perché la società contemporanea è troppo complessa per essere lasciata alle interpretazioni di osservatori generici e superficiali, in secondo luogo, è necessario che gli intellettuali assumano pienamente una responsabilità etico-politica di fronte ai valori fondanti della società moderna, la libertà, l'eguaglianza delle opportunità, la solidarietà, la democrazia, la pace; in terzo luogo, gli intellettuali devono avere la capacità di esercitare un ruolo pubblico attraverso un uso saggio e non manipolatorio dei mezzi di comunicazione di massa (verso i quali va evitato sia il disprezzo intellettualistico e elitario sia l'accettazione passiva del loro potenziale di rimbecillimento collettivo); infine, gli intellettuali devono difendere gelosamente la propria autonomia, che è requisito essenziale per esprimere opinioni e giudizi indipendenti, non subordinati al potere politico e economico. Pochi passi dopo la fine e irca due mesi fa ho partecipato ad una serata milanese organizzata dagli intellettuali firmatari di uno dei documenti favorevoli alla svolta del partito comunista italiano e, ancor di più, sostenitori di una nuova sinistra possibilmente originata da questa svolta (con una certa enfasi, consapevole, il gruppo mi sembra si sia definito come "costituente per la sinistra"). Erano presenti molti firmatasi anche dell'altro documento favorevole al "si" alla svolta nel partito. In poche parole, un osservatorio rappresentativo sul mondo intellettuale che ha accompagnato e favorito l'attuale processo di trasformazione nel Pci. Il pubblico era folto e interessato: buona parte della sinistra intellettuale milanese che ha gravitato in questi decenni attorno al Pci e ai gruppi che ad esso fanno riferimento. Bene, una buona occasione per capire, o cercare di capire. Purtroppo una occasione che non ho - - --, - - -- - -- - - - di Gian Primo Cella saputo sfruttare, causa una sensazione di disagio che mi ha subito preso. È questo disagio che qui voglio rapidamente raccontare. In questo intervento avrei dovuto commentare il nuovo programma del partito, ma il disagio continua a fare sentire i suoi effetti. È meglio dunque cercare di esprimerlo. Il disagio, apparsomi esplicitamente in quella serata, ma di cui avevo avvertito alcuni lievi sintomi in precedenza, e che si confermerà in seguito, è frutto di un grande equivoco presente nelle manifestazioni e negli atti dei gruppi neo (o post) comunisti. Un equivoco forse scusabile fra i politici, molto meno fra gli intellettuali. In brevità, l'equivoco di considerare (o di fare considerare) una sconfitta storica come un successo, un naufragio come un approdo felice su nuovi lidi. Nella serata milanese sembrava aleggiare qualcosa di simile ad una atmosfera di euforia, di successo, di vitto32 ria, di affermazione, o magari di liberazione. Mi sono chiesto come avrei fatto a spiegare quella atmosfera ad un amico (poniamo un missionario in Amazzonia) che dopo decenni di assenza dall'Europa, una assenza non accompagnata da adeguate letture storico-politiche, arrivasse sul Vecchio continente e sull'onda delle notizie sulle clamorose trasformazioni del mondo comunista volesse rapidamente capire. L'amico avrebbe potuto pensare che quel gruppo di intellettuali e politici stesse festeggiando (come in altri paesi dell'Europa centrale o orientale) la liberazione da un lungo regime comunita, o comunque da un soffocante potere comunista, oppure volesse aderire ed identificarsi alla libertà acquisita da altri popoli europei, od almeno plaudire alla straordinaria capacità di leadership e di preveggenza del partito italiano. Niente di tutto ciò, avrei dovuto rispondere, deludendolo. Il parti-
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