La matrice storica del rapporto tra intellettuali impegnati e partiti comunisti è invece da ricercare, anche per l'Italia, soprattutto nella mobilitazione anti-fascista degli anni '30. L'antifascismo avvicina infatti molti intellettuali borghesi al movimento operaio e ai suoi miti a cominciare da quello dell'Unione Sovietica. La minaccia del nazismo e del fascismo, la polarizzazione crescente tra le democrazie occidentali e questi regimi che dapprima si affianca e poi si sostituisce a quella tra democrazie e comunismo sovietico, la politica comunista delle alleanze e dei fronti antifascisti che fa le sue prime prove nella guerra di Spagna, sono tutti eventi che favoriscono l'avvicinamento degli intellettuali di estrazione borghese ai partiti comunisti in numero ben superiore a quanto era avvenuto sia nel periodo di formazione dei partiti socialisti di massa e della diffusione dell'ideologia marxista sia negli anni della Rivoluzione d'ottobre che a quell'ideologia si ispirava e che pure esercitò un fascino possente su molti intellettuali. Il rapporto degli intellettuali borghesi col movimento comunista era complessa e contraddittoria. A rileggere le dichiarazioni di intellettuali come Andre Malraux al Congresso internazionale degli scrittori per la difesa della cultura del 1935 a Parigi si rimane colpiti, pur concedendo tutte le attenuanti costituite dalla drammaticità del momento storico, dell'entusiasmo acritico e dalla cecità astratta con cui si guarda alla realtà sovietica, dalla idealizzazione estetizzante di un mondo proletario che rimane sostanzialmente estraneo e dalla unilateralità settaria della critica del mondo borghese (Malraux arriva a scrivere sciocchezze del tipo che nell'URSS «essendo scomparso il gusto per la segretezza, una documentazione illimitata è offerta in ogni luogo allo scrittore»). Simili entusiasmi da neofiti portarono anche a delusioni cocenti al momento del contatto con la vera realtà sovietica, come nel caso di Gide che nelc elebre Retour de l'URSS modificò radicalmente la sua posizione, denunciando non solo che «nell'Unione Sovietica la libera critica e la libertà dis pensiero si chiamano opposizione», che «Stalin ammette solo l'approvazione» e che «è una caratteristica del dispotismo circondarsi non di valori ma i)JI. Hl \:\:(:O ~11.HOSSO 11#1h1ld di esseri servili», ma anche la doppiezza e il giustificazionismo di quei 'comunisti intelligenti' che «ammettono di essere a conoscenza dei mali dell'URSS e del progressivo vanificarsi di tutto ciò che il 1917 aveva conquistato», ma che «non fanno nulla per denunciarlo e pensano sia preferibile nasconderlo a coloro che meno intelligenti di loro potrebbero indignarsene». Dispotismo illiberale nell'URSS dunque e machiavellismo deteriore negli intellettuali comunisti occidentali, vizi gravi per ogni essere umano, ma in particolare per un intellettuale, la cui missione dovrebbe consistere nel dire la verità e praticare la libertà. Queste luci e ombre nel rapporto tra partiti comunisti e intellettuali si perpetuano, sia pure in forme e con intensità diverse, anche nella lotta di resistenza al fascismo e nel periodo postbellico della guerra fredda. Da un lato vi è negli intellettuali comunisti l'impegno etico-politico, la denuncia dell'ingiustizia sociale, la sincera volontà di trasformazione e emancipazione, dall'altro, gli schematismi manichei, l'accettazione acritica delle verità ufficiali del partito, la doppiezza, l'omertà o la semplice cecità di fronte alla degenerazione totalitaria dello stalinismo. La situazione è migliore in Italia, sia per la Ustica. Gruppo di confinati. In 11•fila Gramsci. : 31 lezione gramsciana, sia per l'influenza delle altre forze anti-fasciste (in particolare il Partito d'Azione e i socialisti) con cui i comunisti hanno strettamente collaborato durante la resistenza e che hanno una più solida tradizione di libertà, ma non è sostanzialmente dissimile dagli altri paesi occidentali. Basti ricordare negli anni del dopoguerra la polemica tra Togliatti e Vittorini, gli interventi censori dei piccoli Zdanov domestici, la celebrazione della realtà sovietica e la demonizzazione degli Stati Uniti d'America. Questo rapporto cambia progressivamente in relazione ai grandi cambiamenti della storia mondiale (la fine della guerra fredda, la destalinizzazione, l'affermarsi delle socialdemocrazie in Europa occidentale, ecc.) e delle grandi trasformazioni della società italiana (l'industrializzazione, l'urbanizzazione, la scolarizzazione di massa, i grandi movimenti collettivi, la diffusione senza precedenti dei mass media, il potenziamento dell'industria culturale) nel senso di rafforzare l'autonomia critica degli intellettuali rispetto al potere, senza tuttavia rimuovere in molti intellettuali comunisti due mali tradizionali della cultura politica italiana, il ribellismo demagogico e il trasformismo. Nei cambiamenti della società italiana negli anni '80 e soprattutto nelle grandi trasformazioni dell'Est europeo degli ultimi mesi sono tuttavia maturate le condizioni per un diverso ruolo dell'intellettuale di sinistra, che il cambiamento del Pci rende ancora più attuale e necessario. Si spensi a una maggiore attenzione per le libertà e i diritti civili, all'affermarsi di una dimensione etica contro le doppiezze e i macchiavellismi, al rifiuto dell'ipocrisia tipica di chi gode di privilegi borghesi e predica palingenesi rivoluzionarie. Che cosa cambia nel rapporto con gli intellettuali con il nuovo corso del Pci e con il processo di costituzione del nuovo partito? Per rispondere a questa domanda bisogna innanzitutto identificare i principali elementi di novità. Gli aspettiqualificanti di questo radicale cambiamento che si traggono dalla relazione di Achille Occhetto sulla fase costituente di una nuova formazione politica sono noti: il richiamo ai grandi principi della rivoluzione francese e delle due grandi tradizioni emancipatorie della cultura politica occidentale,
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