Il Bianco & il Rosso - anno I - n. 4 - maggio 1990

B bandono degli schemi filosofico-teorici immanentistici del marxismo classico, ma di concreto e praticato, nella realtà, c'è ben poco. Oggi il Pci pare dar fiato alle scontentezze di chi, a puro u.so interno democristiano, parla di «secondo partito cattolico», ma pare non rendersi conto che questo non nascerà mai. Per creare un partito cattolico, il primo e per fortuna l'unico, sono stati necessari prima 20 anni di lotte e di condanne ecclesiastiche, poi altri 30 di difficoltà. La Santa Sede non volle il partito cattolico a fine '800, lo condannò all'inizio del '900, lo ostacolò e lo costrinse a sciogliersi quando arrivò il fascismo, esiliando don Sturzo e abbandonando i popolari nel ventennio, e poi lo ha permesso a De Gasperi per necessità, pur tra forti contrasti. Un partito cattolico, o anche solo di cattolici, primo o centesimo, non nasce senza il consenso ecclesiastico, in Italia, e questo non ci sarà mai. Del resto è evidente nei fatti che anche i cattolici più scontenti della Dc, come Leoluca Orlando, e anche gli intellettuali più audaci, come Pietro Scoppola e Bartolomeo Sorge, non abbandoneranno mai questa Dc: diranno che vogliono cambiarla «dall'interno, magari «cacciando» Andreotti, come ora afferma Orlando, ma essi sanno benissimo che un altro partito cattolico non può nascere, né vivere in Italia, i.)jl. BIANCO \Xll,ROSSO •h•#hld senza il visto ecclesiastico, che non verrà mai. Anche l'atteggiamento di Cl e del Movimento Popolare sono assolutamente istruttivi: hanno lottato nella Dc contro De Mita e i suoi, hanno utilizzato l'appoggio di parte del Psi per rovesciare De Mita, hanno fatto in modo di trasformarsi in una vera e propria sottocorrente della Dc, ma non si sogneranno mai di uscire dal partito, di romperne l'unità sostanziale, di trasmigrare verso altri partiti. La loro forza è solo e soltanto basata su quella della Dc, con i suoi pregi e con i suoi difetti, ed essi ne sono ben coscienti. Ora essi paiono coltivare l'idea della «grande coalizione» Dc, Pci, Psi, ma anch'essa è solo strumentale alle lotte interne di questa Dc. Il fatto è, quindi, che ogni idea di «secondo partito cattolico» è illusoria e dannosa, e sorprende oggi vedere che essa è coltivata negli ambienti vicini al Pci e al gruppo di intellettuali che si raccoglie attorno a «Micromega», anche solo come ipotesi. Ma forse la verità della attuale situazione ideale, culturale e politica del Pci, sta nel fatto che in attesa di ridefinirsi davvero, e di sapere non solo che nome avrà, ma soprattutto che «cosa» sarà, anche sul problema dei rapporti con i cattolici, c'è tutto e il contrario di tutto. Al vertice c'è l'appello ad essi, intesi come organizzazioni e movimenti, ad essere co-fondatori della futura cosa. Per ora l'appello è rimasto senza risposta. Alla base c'è ancora il rifiuto del diverso, tollerato solo per necessità. Nei media c'è l'oscillazione: chi considera il cattolico un altro «mondo», e chi dice che «anche esso è ben accolto, nel partito»; chi mastica amaro ad ogni passo del Papa, in Italia e fuori, e anche quando è costretto a fare la cronaca manifesta l 'ostilità e il peso della storia che altrove è passata, ma da noi resiste come sulle ultime barricate; chi manifesta una cultura e dei valori che nulla hanno a che vedere né con la storia del movimento operaio italiano né con gli ideali di solidarietà e di impegno propri dei nuovi movimenti cattolici diffusi nel sociale. Un cattolico molto ben disposto verso il Pci attuale, come Mario Gozzini, ha parlato di «schizofrenia» oggettiva, nel cercare di mettere insieme Marco Pannella e Pietro Scoppola, anche se solo negli appelli. E non è un caso che su «II Manifesto» un giornalista come Filippo Gentiloni abbia scritto, giorni fa, che «la cosa per strada ha perso i cattolici». Ha un bel da fare, la dirigenza del nuovo Pci, divisa la sua parte, a proporre, sulla questione, di andare «oltre i dialogo». Nessuno, oggi, sa cosa ci sia davvero, sia nel dialogo che oltre il dialogo, almeno dalla parte del Pci stesso. È l'impasse di oggi. Per uscirne occorrerà molto lavoro. Gli intellettuali e il Pci I 1 rapporto tra intellettuali e Partico comunista italiano è sempre stato un rapporto complesso e ambivalente; da un lato, il Pci è il partito che ha manifestato il maggiore interesse per il ruolo politico-ideologico svolto dagli intellettuali e che ha dimostrato la maggiore stima, garantendo riconoscimenti pubblici e privati, posti in Parlamento e posizioni di primo piano nel partito e nel sindacato, sostegni in ambienti accademici, scientifici, letterari e - - - di Alberto Martinelli artistici e in altri ambiti istituzionali, dalla magistratura al giornalismo, in cui il Pci ha nel tempo maturato posizioni di influenza ideologica; dall'altro, vi sono stati episodi significativi di coartazione della libertà di pensiero e di condizionamento ideologico, soprattutto ai tempi dello Zdanovismo staliniano, tentativi sistematici di strumentalizzazione, e chiare dimostrazioni di preferire i 'pifferai' della linea ufficiale del partito agli intellettuali critici. JO Il fondamento teorico del rapporto tra Pci e intellettuali è co~tituito dagli scritti di Antonio Gramsci che delineano una nuova figura di intellettuale capace di realizzare una sintesi tra il ruolo dell'intellettuale-ideologico che elabora principi e valori guida per l'affermazione e il rafforzamento dell'identità politica e il ruolo dell'intellettualeesperto che fornisce conoscenze tecnico-specialistiche per conseguire gli obiettivi strategici del partito.

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==