Il Bianco & il Rosso - anno I - n. 4 - maggio 1990

nelle liste del Pci hanno avuto scarsissimo seguito politico e culturale sia nel mondo cattolico che nell'interno del partito. Di fatto la segreteria Natta ha segnato un regresso di interesse e di rapporti. Contemporaneamente, e i tempi non sono casuali, nella Dc si era tentata l'impresa del «rinnovamento» dernitiano, che all'inizio si era mosso energicamente anche per recuperare credito nel mondo cattolico. Basterà ricordare l'assemblea degli esterni all'inizio della segretaria De Mita. Sono gli anni della «ricomposizione» cattolica, della ripresa di interesse di movimenti e associazioni, ma anche della conflittualità interna al mondo cattolico per la affermazione di Cl e del suo movimento politico. I cattolici democristiani si dividono su De Mita, pro o contro, su Andreotti, pro o contro, e anche su certe strategie ecclesiali, come la cosiddetta «restaurazione» operata dal cardinale Joseph Ratzinger. In campo politico emerge il ruolo del Psi di Bettino Craxi, che in pratica rende possibile la sigla del nuovo Concordato, con l'assenso della Dc e il concorso travagliato del Pci dell'ultimo Berlinguer. Ora - anni 84-89 - il mondo cattolico significativo o è democristiano o è impegnato nel sociale in proprio, senza connotazioni partitiche. Non fa eccezione Cl e il suo Movimento Popolare, che tuttavia giocano a fini interni alla Dc la loro battaglia anti-De Mita, utilizzando anche la rivalità Psi-Dc demitiana. Il Pci assiste, da fuori. Con la approvazione del nuovo Concordato ha deluso molti, se non tutti, quei cattolici convinti che avevano guardato con simpatia a certi valori di giustizia e di autentica laicità, e anche molti dei suoi militanti ancora legati a temi anticlericali e antireligiosi. Il disagio generale che lo attraversa, nei confronti della sua stessa natura, include anche la progressiva irrilevanza del rapporto con i cattolici, e l'affermazione, in esso, di tendenze culturalmente anticattoliche e filo-radicali, nonostante la ripetizione piuttosto rituale del dialogo e del contributo dei cattolici come tali. Non pare crederci più nessuno, né dentro il partito, né fuori. In tutti questi anni, inoltre, nonostante disagi, disgusti, ripugnanze, divisioni interne, strategie diverse e di- _{)JJ, BIANCO l.XltHOSSO Uti#OIA l'autorità ecclesiastica ha sempre ribadito due punti, e cioè la libertà teorica del voto politico dei cattolici - sulla scorta del Concilio e della Octogesima Adveniens di Paolo VI -, ma anche l'obbligo pratico dell'unità politica e partitica nella Dc, pur raramente nominata espressamente. A ogni elezione, puntuale come il tocco del campanile, i vescovi italiani ripetono ufficialmente che i cattolici hanno, in Italia, l'obbligo di restare uniti, e in pratica di votare Dc: non conta chi è il segretario, non conta la strategia che persegue, non conta quali divisioni e quali problemi la Dc sollevi e affronti, il dettato ecclesiastico resta quello del 1948, anche quando, come ora, il comunismo vero e proprio non c'è più, anche quando in mezzo c'è stato un cambiamento di mondo, un Concilio Vaticano Il, una trasformazione italiana gigantesca, un rimescolamento degli stessi cattolici tra i partiti, anche quando soprattutto, come ha recentemente rilevato Gianni Baget Buzzo, non pare che la stessa Dc abbia ormai bisogno del braccio ecclesiastico: ha imparato a tutelarsi, e a garantirsi, elettoralmente, in proprio. L'atteggiamento della Chiesa italiana è oggi assolutamente post-ideologico e utilitaristico. Difficile dire che questa Dc è cristiana e gli altri partiti sono atei, tutti: i richiami alle vicende della legge sul divorzio e di quella sull'aborto sono evidentemente strumentali. Sotto la legge 194 ci sono ben 5 firme democristiane, su 6, e quella del presidente del Consiglio è quella di Giulio Andreotti, cattolicissimo e appoggiatissimo oltre Tevere. Oggi è la Chiesa italiana che ha bisogno di questa Dc, comunque essa sia, per tutelarsi concretamente su tutti i fronti, e il divorzio e l'aborto sono argomenti strumentali ad hoc. È comprensibile che il Psi, dopo aver guidato l'Italia alla sigla del nuovo Concordato, pensasse di ricevere avalli ecclesiastici, o almeno non ostilità, ma questi sei anni hanno dimostrato che la musica politica della Chiesa italiana non è cambiata, e che prevedibilmente non cambierà, almeno fino ad un crollo elettorale di questa Dc, per la verità improbabile. In questo contesto il Pci di Achille Occhetto ha proposto la sua «rivoluzione», si è impegnato a rinnovarsi radicalmente, a ri-fondarsi del tutto, rifiutando in pratica ogni rapporto con il marx-leninismo, mettendo in questione nome e sostanza. Ai cattolici il Pci di oggi offre ripetutamente un ruolo di «co-fondatori» della nuova casa, ma non è ancora in grado di precisare come essa sarà, quali valori la ispireranno, quali strategie perseguirà, quale pluralismo consentirà, quale libertà di dissenso garantirà, quale apertura non formale ai valori cristiani e quale pratica di laicità autentica, non antireligiosa né consumistico-radicaloide, lascerà libera nei suoi programmi. Ci sono oggettivamente, nel Pci di Occhetto, alcune novità che per un cattolico, che tale voglia essere e restare, hanno segno positivo, come la relativizzazione della politica, che non è tutto, e del partito, che non è un fine, ma solo un mezzo, e naturalmente !'abversificate, dal punto di vista elettorale Roma 10.6.1944. Di Vittorio, Lizzadria Nenni commemorano Giacomo Matteotti. . 29 ·- ---- - --- --

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