8 questo cammino di revisione. Negli anni '80 in modo particolare è infatti esploso il fenomeno del volontariato che, al di là dei limiti, è comunque apparso a molti come una strada di notevole interesse per dare risposte innovative alla crisi dello Stato sociale. È stato soprattutto il variegato arcipelago dell'associazionismo cattolico a germinare questa complessa esperienza di servizio gratuito alle fasce più deboli della società, alle povertà vecchie, ma anche e soprattutto a quelle nuove, come le diverse forme di handicap, di disagio, di devianza. All'inizio si è sostenuto che queste forme di impegno privato-sociale erano il frutto di una patologica arretratezzaa delle istituzioni di Welfare. Poi, lentamente, si è venuta affacciando l'idea che non solo sul piano pratico, ma anche su quello teorico, sarebbe risultato assai poco probabile e soprattutto efficace un impegno diretto dello Stato in settori come questi, ove l'iniziativa privatosociale può invece rivelarsi assai feconda. Sul versante dell'ambientalismo, il Pci si è trovato a fare i conti con l'emergere prepotente di bisogni postmaterialistici, anche questi difficilmente canalizzabili nei tradizionali vettori dello Stato, del partito-sindacato e del sindacato-partito. L'apertura del Pci al privato-sociale, alla complessa realtà dell'associazionismo e dei movimenti, è quindi venuta avanzando in modo via via meno timido nel corso del decennio passato. Oggi, essa si presenta sostanzialmente come una realtà. Ciò non significa, peraltro, che non sopravvivano ambiguità e incertezze sugli esiti futuri. Non si tratta solo del rischio, peraltro non assente, di una certa strumentalità di questa attenzione, che in tal modo finirebbe con l'apparire estrinseca alla cultura del Pci (o post-Pci che sia). Il vero nocciolo del problema sta nella qualità del rapporto politico che la nuova formazione politica, la «cosa» di Occhetto, intende costruire con la realtà dell'associazionismo privatosociale. Attorno a questo nodo si svolge infatti anche non piccola parte del1'attuale conflitto interno al partito, tra sostenitori, detrattori e scettici della linea proposta dal segretario. C'è infatti una posizione - che, per la verità appariva largamente maggiori- .. ,..-:.- - ... - - -- -"lt BIANCO l.XII, llOSSO •b•#hliJ taria fino al Congresso di Bologna - per la quale l'universo associativo è interessante in quanto potenzialmente associabile ad una battaglia di dura opposizione sociale. È la linea sostenuta in primo luogo - e per la verità non da oggi - da Pietro lngrao; è la linea sulla quale si sono attestati intellettuali del fronte del «no» come Barcellona o Cotturri; ma è anche, per certi versi, la linea sulla quale sono impegnati sostenitori di un più stretto raccordo con il mondo radicale, come Stefano Rodotà. La forza di questa linea sta essenzialmente nella sua immediata popolarità, proprio nel mondo dell'associazionismo e del volontariato. Basti pensare ai consensi che, in quel mondo, ha riscosso la posizione comunista di dura opposizione alla proposta di legge governativa sulla droga, consensi che si sono concretizzati nella costituzione del cartello «Educare, non punire», ultima riedizione di esperienze analoghe, come quella dei «Beati i costruttori di pace» o quella «Contro i mercanti di morte», rispettivamente mirate a promuovere un impegno per la pace e il disarmo e la lotta al traffico d'armi. Questa linea presenta tuttavia il lato debole di porsi, per l'appunto, come Pavia 1920. Ferrovieri in sciopero. 27 una linea di opposizione e non come una posizione di governo, sia pure alternativo. E non è, evidentemente, debolezza da poco, anche se non sempre e non a tutti immediatamente evidente. La seconda linea è allo stato assai meno chiara e netta, proprio in quanto cerca di essere ben altrimenti innovativa. È la linea, te<1rizzatain modo particolare da intellettuali come Pasquino e Fabbrini, e che preme per affermarsi nel partito nel suo insieme, che vede sostanzialmente nel governo-ombra la sede per stabilire un rapporto politicamente significativo con le istanze della società civile. È infatti a questo livello che la protesta può farsi proposta politica, senza peraltro che la sintesi politica pretenda di assorbire in modo totalizzante l'esperienza sorta nella società civile. La debolezza di questa linea sta nella sua, almeno apparente, «freddezza». Ma la sua forza sta nell'elementare considerazione che solo chi sa trasformare una spinta di opposizione in proposta di governo può sperare di andare al governo. Tanto più in una democrazia che, come quella italiana, sembra finalmente avviarsi a diventare una matura democrazia dell'alternanza.
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