Il Bianco & il Rosso - anno I - n. 4 - maggio 1990

aziende sarà effettivo, però, solo se contrattazione e forma di codecisione riusciranno a incidere sulle concrete condizioni di lavoro e sui margini di autorealizzazione e di autogoverno dei lavoratori, titolari di tale decisione». Ma se nei documenti, come nel dibattito di questi mesi, vanno apprezzate le autocritiche e molte nuove impostazioni, sono invece insufficienti e affrettate le analisi e le proposte relative a due questioni fondamentali per il sindacato: l'autonomia e l'unità. A parte il ripetersi delle accuse di centralizzazione (ovviamente alle componenti sindacali non comuniste) dell'azione contrattuale, con le conseguenze di corporativizzazione e di subordinazione alle decisioni delle imprese o alle politiche dei governi, non basta riaffermare che «l'unità dei lavoratori e dei sindacati è una tensione e una lotta permanente, un obittivo mai acquisito una volta per tutte ... », se poi non si analizzano serenamente le cause dell'arresto del processo unitario e delle successive difficoltà di accordo e convergenza tra le diverse idee e posizioni. Non basta riconoscere che il «pluralismo è patrimonio prezioso dell'esperienza storica del movimento operaio italiano» se poi non si vede come com- ■ ih@hiii porre le diversità in una proposta di unità, prima di obiettivi e di valori e poi di modello organizzativo e democratico. Altrimenti può legittimarsi l'affermazione del modello Cgil come "casa comune", dove hanno convissuto per tanto tempo diverse correnti politiche. Si valorizzerebbe cosi il ruolo delle componenti di partito e conseguentemente un collateralismo mai venuto meno nella Cgil. Come pure qualcuno (e non solo comunista) potrebbe collegare frettolosamente la svolta del Pci e la prospettiva di una nuova unità della sinistra con un modello di sindacato funzionale a tale prospettive. In coerenza con le attuali idee del Pci rispetto al rapporto tra partiti e società e all'autonomia dei movimenti, il rilancio del processo unitario del sindacato italiano deve partire dall'estinguersi del collateralismo; per questo è significativa la proposta di Riccardo Terzi (Rinascita del 18 febbraio); «il primo atto del nuovo partito dovrebbe essere lo scioglimento della componente comunista della Cgil». Non mi pare che tale proposta sia stata ripresa nel dibattito del Pci e nemmeno in Cgil come d'altra parte non sono state riprese altre nette affermazioni sia di Chiaromonte (dal dibattito su Rinascita del 4 marzo, «la questione del valore di fondo dell'unità ed autonomia del sindacato non è valutato appieno» che dello stesso Trentin, il quale, dopo una spregiudicata analisi sui limiti dell'esperienza sindacagli degli anni '80, insiste sull'esigenza di superare i nominalismi quali alternativa, socialismo, emancipazione della classe lavoratrice per ridefinire questi termini in un preciso programma riformatore di medio termine da costruire e sperimentare in comune dai partiti, associazioni e movimenti che nei fatti possono costruire l'alternativa. In ultima analisi l'autonomia progettuale del movimento sindacale può partire e svilupparsi solo quando si è superato qualsiasi collateralismo e subordinazione a tesi di partito o di correnti. Così anche il processo unitario potrà riprendere non tanto perché nel mondo sono saltate molte barriere, bensì se vengono superati gli eccessivi patriottismi di organizzazione e gli attaccamenti alle esperienze del passato, per affrontare le prospettive del nuovo in un impegno comune di ricerca e di dibattito, di elaborazione e di lotta, di costruzione e di solidarietà. Il <<nuovo>>Pci e i movimentidella società I l confronto con la complessa realtà dell'associazionismo, ossia della società civile organizzata, è indubbiamente uno dei versanti critici sui quali si gioca la credibilità e la qualità della Costituente promossa dal Pci. Il confronto con questa dimensione della società è infatti di per sé segno di novità nella cultura non-più-comunista, in quanto segnala la crisi e il conseguente abbandono dell'impostazione di Giorgio Tonini paleo-comunista, fondata sulla rigida contrapposizione pubblico-privato e sull'espunzione della stessa categoria concettuale del privato-sociale. Secondo questa impostazione, solo l'intervento pubblico dello Stato garantisce il perseguimento dell'interesse generale, ponendosi l'iniziativa privato-sociale come dimensione particolaristica e tendenzialmente corporativa, in quanto tale da negare o, nella più favorevole : 26 delle ipotesi, da mediare in una superiore sintesi politica. Il post-Pci sembra voler superare nettamente questa impostazione, della quale, sia pure a fatica, riconosce i limiti e la sostanziale grossolanità. È stata in modo particolare la ricerca di un rapporto nuovo con l'area cattolica, insieme alla provocazione giunta dai movimenti verdi ed ecologisti, che ha spinto il Pci ad intraprendere

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==