Il Bianco & il Rosso - anno I - n. 4 - maggio 1990

B anche fare i conti con i limiti di quella tradizione, vale a dire con la strutturale incapacità delle istanze etiche di aprirsi una breccia nei meccanismi di funzionamento del sistema politicosociale. Il progetto di una comunità solidale come superamento della democrazia formale quanto è proponibile al livello raggiunto attualmente dalla complessità dei processi economicopolitici? La strada deve dunque essere un'altra. È certamente importante la riscoperta dell'etica ma è altrettanto importante capire il modo specifico (e radicalmente nuovo) in cui questo problema si sta presentando nelle società a capitalismo avanzato. Il riferimento ai valori morali si sta infatti imponendo come necessità immanente ai meccanismi sistemici. Stiamo cioè arrivando ad un punto in cui l'efficienza dei processi · 11 1 #119 economico-politici non può più essere garantita da una razionalità puramente amministrativa e burocratica. La solidarietà sta diventando un valore essenziale proprio per assicurare il funzionamento della società. Ciò la pone non più come istanza morale legata alla buona volontà ma come vincolo politico. In quanto tale essa deve però essere accettata da tutti, non solo dai soggetti sociali motivati moralmente. Tutto ciò è risolvibile solo nel quadro di un nuovo patto sociale, in cui vengano ridiscusse le regole della convivenza. Ora il ''patto di cittadinanza" di cui parla Occhetto sembra ancora lontano da ciò. Sembra più un patto volto a garantire necessità e bisogni sociali trascurati dal sistema attuale, che non un patto che vincoli tutti al rispetto delle regole. La questione delle regole è infatti richiamata da Occhetto solo come argine ai meccanismi economici ed all'invadenza statale. Le regole sono invece diventate irrinunciabili per tutta la società civile (partiti, gruppi economici, sindacati, movimenti). Esse implicano il richiamo a quell'etica dell'equità come fairness, ignorata da Occhetto, ma fortemente presente nella tradizione anglosassone, in cui essa significa soprattutto gioco corretto, lealtà reciproca, a cui qualsiasi corporativismo, radicalismo o movimentismo dovrebbero piegarsi. Se non viene ricondotta a questo esito la matassa dell'etica rimane dunque inestricabile o tutt'al più riducibile, come accade nella relazione di Occhetto, a terreno di molteplici suggestioni in cui convivono ecletticamente istanze di tradizioni diverse, scollegate tra loro e destinate all'inefficacia. Madrid: il Pci è per una sinistra europea? e he il merito sia tutto di quello che giornalisticamente viene ormai definito il "vento dell'Est" sembra un dato indiscutibile. Solo gli avvenimenti del 1989, dalla conclusione della "tavola rotonda" in Polonia in aprile alle ambiguità rumene del dicembre, hanno permesso a riflessioni indubbiamente già avviate di prendere corpo, di trasformarsi in qualche modo in senso comune, di trovare un coraggio giustificato dal riscontro d'una cronaca che s'è fatta storia in tempo rapidissimo. Il pericolo semmai è un altro e cioé che il "vento dell'Est" dia adito a letture e interpretazioni troppo frettolose, sia mal compreso e impedisca a tutta la sinistra, non soltanto in Italia, di lavorare non più sulla revisione del passato, ma finalmente sulle prospettive per il futuro. Sintomatico è l'atteggiamento assunto dalla sinistra - ---- --- --- -- di Mauro Martini socialista, nelle sue più varie diramazioni, rispetto a quel che è accaduto negli ultimi mesi. La partenza è stata addirittura entusiastica: la fine del comunismo non poteva che liberare forze autenticamente socialiste, sostenute oltre la linea dell'Elba da una consuetudine diffusa con forme di Stato sociale ben difficilmente liquidabili. Sono bastate due tornate elettorali per cambiare radicalmente idea: un comprensibile desiderio di vendetta contro il comunismo, unito a stimoli ingenerosamente e stupidamente liquidati come provenienti dalla "pancia", avrebbe segnato un successo di inesistenti partiti democristiani, cui la mentalità occidentale annette automaticamente la colpa (o il merito, a seconda dei punti di vista) d'un'esaltazione acritica del libero mercato. Se il socialismo si lancia verso il futuro con una simile capacità analitica, non ci sono molte ragioni d'essere ottimisti. Mancano all'appello quel tanto di conoscenza storica e d'immaginazione politica che del movimento socialista dovrebbero garantir.e l'indispensabilità e la forza. Che speranze può avere chi, in pieno 1990, si produce al parlamento europeo in una mozione che sostanzialmente si rifiuta d'appoggiare la Lituania, confondendo indipendenza e nazionalismo e ignorando la fondamentale distinzione che passa tra una libera alleanza di Stati sovrani da un lato e un'unione imposta con la forza dall'altro? Si tratta di dubbi che sorgono spontanei, allorché ci si deve confrontare con il problema d'un possibile socialismo del futuro, argomento principe d'una rivista, intitolata appunto «El socialismo del futuro», nata in Spagna 23 ~

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