to o a ragione) di essere in grado di scegliere fra le esigenze complessive di riforma politica della società italiana e del suo sistema politico, come sopra sommariamente descritte, e le esigenze della conservazione, se non dello sviluppo, di sé stesso come specifica organizzazione, cioè come secondo partito e quindi come maggior partito alternativo al primo. Di qui una incertezza permanente che si alimenta, nel tempo, con diagnosi, terapie, proposte e atti incoerenti e contraddittori. Non è possibile dare, ancora una volta, la compiuta dimostrazione né della inidoneità di qualsiasi riforma elettorale come tale a determinare gli effetti positivi elencati, né della idoneità a determinarli di un regime presidenziale autentico (più Stati Uniti che Francia), il quale peraltro non esclude una contestuale riforma elettorale (ma l'abbandono del proporzionalismo non è senza controindicazioni). In estrema sintesi, quanto al primo aspetto, un sistema a collegio uninominale a unico turno "bipolarizzerebbe", ma con maggioranza (forse assoluta) Dc e minoranza (forse pressoché totale) Pci e quindi senza prospettiva di alternanza, mentre un sistema maggioritario con aggiunta di seggi alla coalizione vincente oltre la proporzione dei voti, cioè con obbligo di coalizione preventiva, premierebbe i (due) partiti maggiori, che darebbero il segno alla coalizione - come è sempre avvenuto - e punirebbe, annullandoli, tutti gli altri: di nuovo, nessuna alternanza. Per il Pci il regime presidenziale comporta una perdita di ruolo perché ancor oggi il candidato della sinistra avrebbe maggiori o esclusive possibilità di successo elettorale (specie nella contrapposizione necessariamente a due del secondo turno) se non fosse comunista. Ove, nondimeno, accettasse iI).fineil regime presidenziale, il Pci dovrebbe discuterne e definirne puntualmente con tutta la sinistra le garanzie imprescindibili, a cominciare dal Parlamento e dalle autonomie territoriali (ma, certo, non solo): un simile processo, naturalmente, sarebbe, anzitutto, politico. L'atteggiarsi del Pci rispetto alla riforma istituzionale nel senso indicato dall'avvento della sinistra complessivamente intesa è, anzi, più della stessa "unità socialista", come tale mii.)JI. BIA~CO '-Xli. llOSSO 1111 # 19 te, il metro di misura della sua trasformazione post-comunista. Finora il Pci non ha fatto nulla di simile, preferendo andare alla ricerca, persino a livello locale (recentissime proposte di riforma elettorale per i Comuni), di una terza via, improbabile e inesistente, fra regime presidenziale e regime parlamentare. Una funzione, all'inizio forse di stimolo, in seguito sicuramente fuorviante, hanno svolto in proposito gli intellettuali, costituzionalisti e politologi in servizio e di complemento, che, cooptati dal Partito, si sono sentiti in dovere di ricambiare il favore preparando e proponendo diabolici marchingegni di ingegneria istituzionale, sostanzialmente estranei alla consolidata storia costituzionale europea e occidentale, ma capaci di mantenere la dinamica istituzionale sotto controllo partitico. A loro dire, si preverrebbe ai medesimi esiti di necessario bipolarismo ed alternanza, che consente il regime presidenziale, attraverso una elezione diretta del presidente del consiglio, la quale poi non sarebbe (nemmeno per il sindaco) elezione dinoritaria in Italia per tutto il Novecen- Milano. Novembre 1948. retta vera e propria, bensì voto maggioritario al partito o, più esattamente, alla coalizione di partiti, in capo alla cui lista fossero designati il presidente (o il sindaco). Ma è da dimostrare che, con una simile elezione diretta sotto "tutela partitica", la coalizione della quale fosse maggior partito il Pci avrebbe a livello nazionale possibilità di successo pari (o superiori) a quelle che in una elezione presidenziale avrebbero Bettino Craxi o Giovanni Spadolini rispetto a Giulio Andreotti o Arnaldo Forlani. E ancor meno si vede come possa servire a firmare un referendum abrogativo della legge elettorale del Senato da cui sortirebbero la maggioranza assoluta della Dc (da 177 seggi a 181), la minoranza dominante del Pci (da 85 a 97), le briciole per i partiti restanti (il Psi da 45 a 23, tutti gli altri ridotti a 12, Msi compreso). Per Valdo Spini, che ha fatto questi calcoli, sarebbe una truffa per il suo partito, il Psi; per tutti sarebbe un ulteriore rinvio della possibilità dell'alternanza (che, infatti, a breve, per effetto di riforma istituzionale non avverrà).
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==