questione della direzione da assumere nell'era post-comunista. Eppure la questione è strettamente legata a quella di come essere di sinistra oggi. Una domanda che noi traduciamo: come essere socialisti riformisti oggi. Certo, si deve osservare che Bologna doveva votare sull'accoglimento o meno dell'apertura di una nuova fase costituente, non sulla costituente. E che quindi l'alternativa era quella tra il "si" e il "no", tra la fuoriuscita o meno dal comunismo e dalla sua forma partito, sia pure nella variante italiana, piuttosto che quella di decidere "come" e in che direzione fuoriuscire. Il "come" in realtà avrebbe comportato un profondo processo autocritico, sia in rapporto alla propria tradizione teorica che in rapporto alla propria storia politica, sempre che si fosse as!.',mto come dato il fatto che la caduta del co- .{)!I. 81.\~CO '-Xli.BOSSO •U•AAhhA munismo a livello dei paesi dell'Est, coinvolge le diverse sue varianti, i molti comunismi. C'è stato il fallimento del comunismo, o semplicemente sono cadute delle imperfette realizzazioni di esso? E se così fosse, perché concludere una esperienza che in fondo non è ancora incominciata? L'esito del congresso di Bologna, se ha segnato la vittoria della posizione di Occhetto, insieme ha sancito una forte presenza di un'ala che non crede o dissente dalla svolta di Occhetto, o per il metodo, o per il metodo e per i contenuti. E comunque in quanto non si condivide l'ipotesi del passaggio ad una nuova fase costituente - e quindi al conseguente scioglimento del partito comunista italiano - senza una chiara prospettiva, senza una delineazione effettiva delle nuove alleanze a livello sociale e a livello politico. Insomma, il rischio è che si perda la vecchia identità, senza acquistarne una nuova. Una accelerata radicale operazione di cosmesi. Perché ci sia nuovo inizio occorre operare a livello delle radici. La fase costituente può e deve riprendere i fili sia dei conti con il proprio passato, sia di quelli connessi con la nuova forma riformista. La rottura costituita da questo processo, richiede una forte coerenza interna, ma anche implica e coinvolge tutta la sinistra. È il sistema della sinistra che deve rimettersi in movimento, se si vuole costruire una vera e propria ipotesi di alternanza. Il dibattito teorico, ma anche talune scelte concrete di rottura con il passato dei rapporti conflittuali a sinistra, devono essere pari alle ambizioni che una sinistra di governo deve avere. Altrimenti, si rischia di avere il futuro alle proprie spalle. Pci e Istituzioni L ' . d. . atteggiamento 1 un partito nei confronti delle riforme istituzionali viene verificato soprattutto in rapporto ad alcune esigenze essenziali: 1) che il sistema politico in senso stretto, vale a dire il sistema dei partiti, diventi anche in Italia bipolare, cioè organizzato e funzionante in due e solo due schieramenti contrapposti, fra cui unicamente l'elettore possa scegliere col voto; 2) che entrambi tali schieramenti si presentino il più possibile pienamente legittimati alla cultura della generalità dell'elettorato, cioè suscettibili di raccogliere già oggi il consenso senza la preoccupazione sottesa (ancorché ormai oggettivamente infondata) che votare per uno dei due comporti pericolo, in caso di vittoria, per il regime democratico e i suoi annessi e connessi; 3) che, pertanto, così sia resa concreta (come in Francia, Germania, Gran Bretagna, Stati Uniti, ecc.) la prospettiva dell'alternanza al potere, la quale - per esser tale - implica da noi necessariamente, in prima attuadi Ettore Rotelli zione, l'avvento della sinistra complessivamente intesa e la estromissione dal governo del partito della Dc; 4) che sia realizzata pure in Italia una separazione tra partiti e istituzioni e quindi una distinzione netta di ruoli e di responsabilità, di cui peraltro è fattore la stessa alternanza, ove effettiva; 5) che, nella medesima direzione, della liberazione della società dalla partitocrazia, stante l'accentramento partitico interno, che vanifica qualsiasi decentramento istituzionale, del resto finora sempre solo apparente (in quanto non fatto di effettive autonomie), sia determinata la inversione delle relazioni centroperiferia dentro i partiti. Una riforma istituzionale è interessante se capace di soddisfare queste esigenze e pervenire a questi esiti, beninteso in termini ragionevolmente brevi, comunque entro la fine del secolo, dalla quale ci separa appena un paio di legislature. Ma gli ostacoli sono robusti perché consistono in primo luogo negli stessi partiti che in Parla- =· 20 mento dovrebbero promuovere e decidere il mutamento. In particolare, la Dc è ovviamente contraria a modificare la condizione politico-istituzionale sulla quale ha costruito la sua fortuna e il suo sistema; il Psi è giunto infine a una soluzione effettivamente adeguata (oltre che soggettivamente conveniente), ma attraverso un percorso lungo, tortuoso e poco rassicurante (semplice elezione diretta del Capo dello Stato, anziché regime presidenziale vero e proprio, con tutte le garanzie che ne sono storicamente parte integrante) e comunque, anche a causa del comportamento del Pci, tenendo sempre a disposizione, ancora oggi (come nel 1983), la carta di riserva del proprio successo politico e quindi elettorale in un quadro istituzionale immutato (titolarità della presidenza del consiglio); infine, appunto, il Pci, che è il vero problema. Quale? Essenzialmente che tale partito non sceglieo non è ancora in grado di scegliere o non ritiene ancora (a tor-
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