i>!I- BIANCO '-XltllOSSO IIU1111 i iiNI storica per correggere il sistema che regola la vita pubblica". Si capisce che quando i margini si fanno stretti si possa anche confidare su scelte più clamorose che vere, ma credo che non si dovrebbe ignorare il limite di una finzione. Veniamo ai fatti. A lanciare l'iniziativa referendaria, con un drappello di intellettuali ed un certo numero di deputati e senatori democristiani, radicali, indipendenti di sinistra, verdi, repubblicani e liberali, ci sono le Acli, la Fuci, il Movimento giovanile dc ed il Movimento federativo democratico. C'è soprattutto il Partito Comunista. Occhetto ha infatti assicurato "interesse e favore" ai referendum e, c'è da pensare, anche la maggior parte delle 500 mila firme necessarie. Questo raggruppamento eterogeneo è impegnato a promuovere tre referendum. Il primo riguarda il Senato. Con la legge attualmente in vigore, che prevede il sistema maggioritario, oggi è possibile eleggere un candidato quando questi superi nel collegio il quorum del 65% dei voti. Evento per altro abbastanza raro. Così in assenza del quorum si passa ad una ripartizione proporzionale dei seggi tra le varie liste, sulla base dei risultati conseguiti dai partiti in tutta la regione. Con il referendum il sistema attuale verrebbe profondamente corretto. Le 238 circoscrizioni locali verrebbero infatti trasformate in collegi uninominali nei quali si voterebbe secondo il sistema maggioritario. Risulterà eletto, ed in un unico turno, il candidato che avrà riscosso la maggioranza dei voti. Con un correttivo necessario. Poiché i senatori da eleggere sono 315, per l'assegnazione dei restanti 77 si adotterebbe un sistema proporzionale su base regionale. Il secondo referendum riguarda invece la Camera. Qui, non potendo modificare il sistema proporzionale in vigore, si propone di ridurre il sistema di prcferenze da quattro o tre attualmente previste (a seconda dell'ampiezza dei collegi elettorali), ad una soltanto che, inoltre, non dovrebbe essere espressa con il numero del candidato, ma scrivendo il nome sulla scheda. Infine il terzo referendum riguarda i comuni: si chiede di abrogare la norma che limita a quelli con popolazione inferiore ai cinquemila abitanti l'utilizzo del sistema maggioritario. L'intenzione, come si intuisce, è di mettere in causa, nei limiti consentiti da referendum abrogativi, la proporzionale che, secondo i proponenti, da necessità della democrazia italiana, soprattutto dopo il fascismo, si sarebbe ~ ~ -- ---- - --- -- - trasformata nel tempo in strumento di partitocrazia, in presupposto di lottizzazione e di corruzione. Poiché l'intento è soprattutto moralizzatore, si deve rilevare che se i partiti non sono stati in grado di opporsi a lobbies, "parenti e clienti", anche per il costo crescente delle campagne elettorali, che ha portato fuori dai partiti una parte notevole delle decisioni, nulla autorizza a pensare che il candidato locale eletto con il sistema maggioritario possa resistere meglio. Dei partiti in questi anni si è scritto molto. Dell'ingerenza dei partiti nel funzionamento delle istituzioni rappresentative di governo e amministrative si è, invece, parlato meno. La lottizzazione (che non trova origine soltanto nella rappresentanza proporzionale e nella democrazia senza ricambio) viene sempre deprecata, ma le sue cause profonde non sono state adeguatamente indagate. Sull'attività, il ruolo, l'importanza, i pericoli per la moralità del regime democratico dei gruppi di pressione e delle lobbies mi sembra che sia calato un pudico ed interessato velo di silenzio. Tutto questo proprio mentre alcuni partiti sono diventati aggregati di lobbies ed i loro candidati sono sponsorizzati da potenti gruppi. Il rimedio a questo stato di cose non può perciò consistere nell'adozione di parziali e spettacolari modifiche elettorali solo perché sembrano le più a portata di mano. Esse infatti rischiano, fuori da un disegno organico e complessivo di riforma, di essere anche le più mistificanti ed elusive. Una ipotesi di riforma attuata in modo da lasciare indenni le cattive abitudini dei partiti e la qualità inaccettabile del loro rapporto con le istituzioni, rinuncerebbe infatti a fare i conti con il nocciolo della questione che riguarda la distanza crescente tra la politica e la vita sociale. Che l'attualità politica del nostro paese renda centrale il tema delle riforme istituzionali, compresa la riforma elettorale, è fuori discussione. Per altro ciò che va sottolineato è la circostanza che questa attualità si rivela proprio in relazione alla riduzione del peso delle ideologie che aveva finora precluso l'emergere, nei suoi contorni essenziali, della questione. Si tratta certo di una congiuntura utile, di un ammodernamento culturale ricco di virtualità, purché non si sia indotti illusoriamente a credere che fuori dalla storia dei partiti tradizionali, esistono già nella società civile, moralità più intense o chiare soggettività politiche da mobilitare nell'impresa del cambiamento delle regole sulla base di una chiamata confusa ed
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