Il Bianco & il Rosso - anno I - n. 4 - maggio 1990

stamente, macchine per l'azione politica o attori dell'azione politica ricchi di energia e di voce. Il partito di Occhetto deve cercarsi al più presto un posto in palcoscenico e fare la sua recita. Il resto c'è già e lo ha scritto la storia italiana di questo dopoguerra. Il comunismo togliattiano da cui i comunisti del congresso di Bologna hanno deciso di liberarsi, liberandosi per coerenza dai residui impedimenti ed equivoci nominalistici, è stata la forma istituzionale di un'opposizione politica che ha legittimato il governo della Dc dal 18 aprile del '48 ad oggi. Occhetto ha un solo vero problema, se vuol fare politica altrove che nei congressi e nei seminari delle Frattocchie: dimostrare che è possibile riciclare quella forza grande o immobile, di opposizione e insieme di incardinamento della Dc al governo, trasformando il nuovo partito da costruire in un veicolo di solidi valori e di idee politiche nuove, capaci di fondere la realtà e l'urgenza di una alternativa. i.)JI. 81.-\'.'\ICO lXII. ROS..~O Ut•ihld Qui interviene il problema vero dei rapporti tra ex comunisti e socialisti autonomisti. Per anni ci siamo abituati a questo schema mentale. L'alternativa non si fa perché Craxi non la vuole, perché i vantaggi di una coabitazione competitiva con la Dc, in un solido orizzonte di centro-sinistra, sono ineguagliabili. È Craxi che potrebbe scegliere e non sceglie, preferendo mangiarsi la rendita di posizione che gli deriva dalla centralità politica del suo nuovo corso socialista. Al Pci veniva attribuito un alternativismo spontaneo, naturale. Sì, certo, c'era stata la lunga fase del compromesso storico, però era o non era il Pci il vero interlocutore d'opposizione della Dc? Converrà a questo punto rovesciare tutto il ragionamento, e con esso l'ordine delle priorità. Occhetto, denunciando il consociativismo e la sua ideologia nel Comitato centrale del novembre 1988, ha dato inizio alla sua personale perestroika. Poi, con la spaccatura sulla questione del nome e della nuova forza politica, ha reso irreversibile l'autoriforma. Ma con questo ha svelato quale fosse la verità dei rapporti a sinistra. Non Craxi ma il Pci doveva scegliere l'alternativa. Il progetto dei socialisti prevede geometricamente, come un punto obbligato nello spazio piano della politica, l'alternativa, il ricambio laico-socialista, liberale, riformista. È nelle convenienze strutturali di una forza come il Psi, l'alternativa, più ancora e prima ancora che negli intendimenti della sua classe dirigente. Era invece il Pci che doveva prepararsi davvero al salto del fossato dal consociativismo costituzionale a quella determinata forma dell'alternativa che è una nuova repubblica. Ecco. La novità apportata dal rinnovamento comunista è l'annuncio che quella preparazione è finita, e si può cominciare a giocare la partita. E le accoglienze riservate da Craxi alla svolta mostrano come l'immobilità italiana si sia rimessa paradossalmente in movimento. Se non è troppo tardi. Si può riconvertire il partito di massa? B asta sbaraccare la monocultura politica per risolvere il problema della burocrazia, cioè della monocultura organizzativa? Non mi pare possa essere di qualche utilità al Pci nessuna delle esperienze socialdemocratiche. Il governo monocratico, legittimato dall'elezione diretta del segretario da parte del congresso, non è servito a trasformare il Psi in un partito leggero, d'opinione né dei club e dei movimenti. Nella spartizione del potere pubblico locale il ceto burocratico (per lo più controfigure dei parlamentari, che detengono il controllo dei principali pacchetti di tessere) continua ad essere un di Salvatore Sechi asso decisivo. Anche per designare i candidati con più chances per le assemblee elettive di livello inferiore. Qualcosa di simile si può rilevare nel partito socialista francese dove la recente lotta sorda, al congresso di Rennes, tra i "colonnelli" di Mitterrand non ha avuto nulla dello scontro di idee, e molto della guerra tra clan. Tale degenerazione è connessa alla scelta delle candidature per le prossime elezioni presidenziali e, quindi, alla necessità di conquistare la guida del partito che ha titolo per fare le designazioni. All'estrema leggerezza, rispetto al Psi, del Psf (circa 150.000 iscritti) corrisponde un'estrema pesantezza della burocrazia a cui spettano le prerogative decisionali, cioè il potere di proporre i candidati "presidenziali". Oggi anche il Pci è un partito diviso in correnti rigorosamente costituzionalizzate. Si tratta di un regime transitorio, destinato cioè a finire quando dalla fase costituente verrà fuori una nuova formazione? Chi lo pensa si illude sul carattere revocabile, storicamente determinato, delle strutture organizzative. Esse hanno il compito di preservare il potere degli attuali titolari di posizioni di dominio sulla macchina (che è tuttuno col governo) del partito. Mi pare probabile che la fisiologica

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