Il Bianco & il Rosso - anno I - n. 4 - maggio 1990

B ~-li. BIANCO lXll.llOSSO iii•iil•P frequentare licei e università, né fare il giornalista, o il medico, o l'ingegnere, né insegnare in una scuola, o dirigere un'azienda. Migliaia di chiese e conventi erano stati chiusi, e spesso distrutti. Oggi tutto questo è passato. Nel discorso al papa, Havel ha parlato di un «doppio miracolo», quello del papa a Praga e quello di uno come lui, dissidente e fino a sei mesi fa in carcere, oggi presidente della Repubblica, e senza che in mezzo, per recuperare la libertà di tutti, dopo il tanto sangue versato da una violenza durata 40 anni, sia stato necessario versarne neppure una goccia. E la Cecoslovacchia è stata solo uno dei punti caldi dell'Est europeo: dovunque il sistema è stato lo stesso, la violenza e il sangue sono stati pane di ogni giorno, anche se in misura diversa, con risultati analoghi in ogni paese. Oggi il "miracolo" cecoslovacco assume così le dimensioni di un simbolo di qualcosa di più ampio, i cui effetti già si sentono a Mosca come a Varsavia, a Bucarest come a Sofia, a Berlino come a Dresda. È di queste ore l'annuncio della futura visita del papa a Cuba, dove "perestroika" è ancora una parola proibita. E Pechino e Tirana tacciono ... Per quanto ancora? Non spetta a noi, qui, stabilire la parte di Dio, vera o presunta, in questa vittoria, ma è sicuro che per quanto riguarda gli uomini un grande ruolo lo ha avuto Karol Wojtyla, il quale ha messo in moto un meccanismo che in pochi anni ha prodotto lo sconvolgimento totale del panorama dell'Est, provocando e in qualche modo suscitando un altro protagonista venuto dal freddo, e poi risultato assolutamente decisivo, Mikhail Gorbaciov. Si è parlato tanto, e giustamente, della Ostpolitik vaticana, che ufficialmente ha quasi 30 anni. I "contatti" tra Urss e Vaticano sono cominciati addirittura nel 1921. Giovanni XXIII ha certamente segnato una svolta, con l'udienza concessa nel 1963 al genero di Krusciov, Alexey Adjubei. La sapienza diplomatica del cardinale Casaroli e la consumata prudenza di Andrej Gromiko hanno giocato il loro ruolo, ma il gioco sottile degli incontri riservati, dei carteggi diplomatici, delle commissioni bilaterali non ha mai spaventato le potenze e le prepotenze, e avrebbe potuto continuare per altri duecento anni, mentre nella realtà cruda della vita vescovi, preti, credenti, erano discriminati, emarginati, carcerati, ridotti al nulla. Il "ciclone Wojtyla" è stato decisivo: questo papa ha conosciuto, al di là di tutte le parole e di tutte le propagande, il volto di ferro del comunismo al potere, dopo aver visto e combattuto quello del nazismo, ed ha agito di conseguenza: ha dato fiducia alla forza umana della ragione e dei sentimenti di popoli interi, con una scelta non violenta, ma più forte di tutte le armi. Mikhail Gorbaciov ha certamente avvertito, da uomo intelligente ed esperto, che uno dei fattori più decisivi, forse quello più irriducibile, dei fallimenti ripetuti, morali e materiali, del "socialismo realizzato", era l'impossibilità di ottenere la collaborazione degli uomini cui si era tolta la libertà di parlare e pregare, di scrivere e di circolare, di rivolgersi agli altri uomini e anche a Dio. Non è inverosimile pensare che qualcuno ad Est, nei primi anni '80, abbia cercato davvero di eliminare questo scomodo vescovo di Roma, portatore presente e futuro di così grande scompiglio. Senza Giovanni Paolo II non ci sarebbe stata, di certo, la vicenda polacca di questi dieci anni: davanti agli occhi di tutto il mondo la classe operaia di una intera nazione si è appoggiata alla forza sociale e morale della chiesa cattolica, con l'implicazione diretta della Santa Sede, per riformare, correggere e rovesciare un sistema sociale e politico che non aveva scelto e non aveva mai accettato. Ma non basta. È difficile pensare che senza Giovanni Paolo II ci sarebbe stato allo stesso modo Gorbaciov con la sua perestroika. Il collasso dell'impero sovietico multinazionale e multietnico è partito, certamente, dai fallimenti economici e politici dei decenni scorsi, ma anche dalla sperimentata insostenibilità di un potere messo continuamente in questione dalla gente che non voleva rinunciare a Dio, o anche solo alla libertà interiore pur senza un nome esplicitamente divino. La Polonia è stato l'anticipo visibile del rigetto globale di un sistema imposto, che ha prodotto lentamente lo sgretolamento generale, e la religione è stata fattore decisivo. In tutti i paesi dell'Est l'atto finale del regime è cominciato con fatti attinenti anche alla sfera religiosa, dal pastore protestante rumeno di Timisoara alle riunioni giovanili nelle chiese luterane di Berlino Est e Lipsia. Le chiese sono cosi venute a trovarsi, dopo decenni di resistenza senza resa, al centro delle speranze della gente oppressa. Il sistema che

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