.i>-l-'- BIAN(:O lXll.llOSSO iii•lil•P Le nuove norme rappresentano un primo passo della riforma e, pertanto, il segno positivo di un indirizzo che vuole svincolare la materia da mere valutazioni di ordine pubblico e pubblica sicurezza, in un contesto internazionale che non consente soluzioni improvvisate e unilaterali (come quelle adottate dalle molte circolari ministeriali surrogatesi all'inattività del legislatore) e che richiede soprattutto la definizione, almeno nelle sue linee essenziali, dati i brevi termini imposti, di una politica dell'immigrazione. L'impegno del legislatore in questa direzione esige un consenso politico non condizionato da situazioni contingenti, bensì coerente con un atteggiamento obiettivo e critico dei risultati che conseguiranno alla prima applicazione della legge n. 39. Tale coerenza è necessaria se si considera che la precedente legge n. 943 non ha, sostanzialmente, operato, salvo che per la parte relativa alla c.d. sanatoria (e, pure in questo limitato ambito in modo non soddisfacente) e che la concentrazione a livello comunitario (pur con i limiti conseguenti a un non completo trasferimento di sovranità dagli Stati alla Comunità, nella materia) non è semplicemente una scelta, ma un obbligo. Italia '90, non dimenticare i poveri di Luigi Di Liegro Parlare oggi di povertà nella nostra società che troppi analisti amano chiamare «postindustriale» sembra un goffo cedimento al cattivo gusto o un grave ritardo culturale. Fa rabbia che ci sia chi ne parli, mentre l'Italia delle imprese e delle concentrazioni mira alla conquista dell'Europa e del mondo. Sembra quasi un problema inventato o ozioso perché nelle società più avanzate la povertà dovrebbe essere, se non estinta, in via di estinzione, e gli altri tipi di situazioni sfavorite dovrebbero essere bloccate da interventi sempre più efficaci. Eppure le povertà restano. È inutile cercare di cancellarle a parole. Il fatto è che le politiche sociali, anche a causa della proliferazione di una burocrazia sociale fredda e talvolta corrotta, comportano molti punti deboli. Il fatto è che la politica sanitaria, quella edilizia, quella dei redditi, quella dei servizi di base, quella dell'educazione, il mercato stesso del lavoro incontrano ostacoli complessi, malgrado l'ampiezza dei budget che sono loro assegnati. A livello europeo si è ormai al varo del terzo programma di una azione coerente globale contro la precarietà. La solidarietà verso i poveri non è più limitata al proletariato dei tempi di crisi condannato alla disoccupazione di lunga durata, ma appare come una categoria sociale propria, vittima di un cumulo di precarietà: scolarità approssimativa, non qualificazione, esclusione da ogni forma di assicurazione sociale, fragilità o disgregazione familiare, assenza di una professione o di un mestiere, mancanza di una abitazione, accumulazione di disavventure di vario genere, basso reddito etc. Così lo sguardo sugli esclusi non si limita più al solo aspetto economico, anche se esso rimane essenziale. L'esclusione diventa anche questione di cultura: essere povero significa non accesso al sapere, non partecipazione alla vita sociale, non conoscenza dei propri diritti. Si tratta, cioè, di un problema di cittadinanza sociale oltre che economica, in quanto il sistema non garantisce a tutti i cittadini, di fatto, il medesimo di-
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