.{)!I, BIANO) l.XII.BOSSO Uiiiiiiil Non si pensi con ciò, secondo un cliché diffamante, che gli immigrati di colore siano tutti morti di fame, pezzenti, e così via. Sarebbe bene procurarsi un supplemento di informazione. Una ricerca recente, Stranieri a Roma, a cura della Caritas e della SIARES, è in questo senso utile. Ci dice che gli immigrati di colore sono in gran parte uomini, in giovane età, in possesso di discreti titoli di studio, con la conoscenza di una o più lingue europee. Miserabili lo divengono in generale dopo un soggiorno anche di poche settimane nella capitale dello Stato italiano nonché centro della Cristianità: scippati, derubati dei soldi e dei non molti averi, ridotti sul lastrico, devono scegliere con urgenza spesso drammatica l'espediente come mezzo di sussistenza. A questo proposito le stesse autorità di governo vivono e operano - spesso rinviando - in una condizione di lamentevole sottoconoscenza del fenomeno. Bisogna, per il momento almeno, contentarsi delle impressioni e di «ricerche-pilota». A parte Palermo, Napoli, Milano e Torino, è Roma ad apparire come un classico porto di mare, l'approdo ideale. Qui più che altrove sembrerebbe possibile trovare lavori saltuari, magari nel terziario, unendo l'elettronico e il borbonico, oltre che lavori al nero in ditte e imprese agricole e edilizie di basso profilo. Profughi provenienti dai paesi dell'Est europeo, per lo più piccoli huclei familiari, fino a tempi recenti i soli a godere dello stato di riVeduta aerea della città di Palmanova (fondata nel 1593). =· 7 fugiati politici, ghanesi, etiopici, eritrei, somali, iraniani, si possono incontrare nelle vie della capitale, soprattutto intorno alla Stazione Termini, presso alcuni centri o parrocchie situate nei vari quartieri e in periferia, ma anche a Ostia, nei paesi che costellano le colline dei Castelli, o ancora verso Tivoli, Mentana, Palombara Sabina. Si tratta di nuclei etnici diversi, che portano con sé istanze, modelli culturali, valori, costumi differenti da quelli italiani. Sono per lo più persone che le circostanze hanno portato a vivere in condizioni di precarietà e di marginalità. Sono quasi tutte «persone in attesa», magari di un visto, per un'ulteriore tappa migratoria, generalmente Stati Uniti e Canada, oppure in attesa di un inserimento a pieno titolo in Italia - inserimento che tarda a realizzarsi. Per il momento, due lezioni: non schiacciare tutti nel «solito negro», omogeneizzando persone che sono diverse le une dalle altre e che hanno diritto ad essere individualmente riconosciute; comprendere che il loro più importante problema non è forse quello del lavoro e dell'alloggio, ma, ancor prima, quello dell'accettazione, uno per uno, come persone e non come numeri, pur sapendo che la questione dell'immigrazione di colore non potrà essere risolta da nessun paese europeo da solo. È una responsabilità dell'Europa che va unendosi e che anche rispetto a questo problema può fin da ora dare un'idea della sua statura storica e morale.
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