Il Bianco & il Rosso - anno I - n. 2/3 - mar./apr. 1990

maste vedove e che non hanno figli o i cui figli sono lontani o si sono dimenticati. Molti scelgono di vivere soli poiché rifiutano l'idea di accedere a una Casa di riposo considerando questa scelta come l'ultima spiaggia. Va detto che, però, l'accesso a tali strutture non è facile poiché le liste di attesa si allungano sempre di più. Vivere in città da vecchi comporta spesso deprivazione di identità. La perdita del ruolo di lavoratore, l'assenza di 'spazio vitale' (la presenza di uno spazio di privatezza riveste per l'anziano enorme importanza) nel nucleo familiare originario - ammesso che tale convivenza sia possibile - lo sradicamento dal contesto socio-affettivo, la poca consistenza o l'assenza di comunicazione significativa danno forza al1'isolamento, il senso di inutilità e di solitudine. Alla deprivazione di identità si affiancano anche altre esperienze soggettive e/o oggettive - di marginalità e, spesso, anche di povertà. Sono infatti, .{).li. IU \:\(:O lXII. HOSSO 11: 1 &hid ancora molto numerosi i casi di anziani indigenti, che devono fare ricorso ai sussidi erogati dai servizi sociali. Non si deve mai dimenticare che il costo della vita in città è più elevato che altrove. All'indigenza economica, si affiancano anche, in determinate situazioni, rapporti familiari e di vicinato carenti, incapacità di usufruire - ove questi esistano - dei servizi socio-assistenziali e sanitari e degli spazi deputati alla socializzazione. Si affianca, accanto alla percezione quotidiana del declino psico-fisico, la paura l'angoscia e la sofferenza di fronte alla malattia e alla morte. Se tale è il quadro del vivere da anziano in città sia pure velocemente tratteggiato e magari con troppa enfasi, appare chiaro che una politica sociale che voglia dare delle risposte incisive non può consistere in una semplice azione di razionalizzazione o nell'installazione di servizio, nella predisposizione di interventi settoriali, anche se non si può negare che questi sono necessari e richiedono un loro ripensamento alla luce dei nuovi bisogni (e anche dei vecchi) che i nuovi anziani vanno esprimendo. È soprattutto, necessario porre le basi per una nuova cultura che tenda a valorizzare l'individuo e le sue esigenze, che sia capace di favorire atteggiamenti di solidarietà e di scambi relazionali. Si tratta di andare oltre quella logica che purtroppo ha permeato e continua a permeare le scelte a livello politicoistituzionale e comportamentale: una logica che supporta delle scelte che intendono «negare» o «contenere» gli effetti più negativi dell'emarginazione e che, in ultima analisi, sembra volere convivere con l'emarginazione nel momento in cui rinuncia a scoprire e, poi, eliminare le cause che producono emarginazione. Handicap e città • • oggi In Italia Essere stato invitato ad esprimersi su tale tema, come rappresentante della Comunità di Capodarco, comunità che è presente nelle varie forme di emancipazione della vita degli handicappati in varie città d'Italia tra le quali Roma è un'occasione unica, che volentieri colgo, anche per il significato che vuole avere questa rivista, alla ricerca di riforme e solidarietà, e per il senso preciso del dossier: democrazia e governo della città. Sono sicuro che gli handicappati c'entrano moltissimo in tale tema. Non di Franco Monterubbianesi possiamo non affermare, per quella che è stata la nostra lunga esperienza di condivisione e di lotta della vita degli handicappati, che il processo di emancipazione della loro vita è stato condotto sino in fondo, per quello che potevano ottenere al limite delle leggi, delle aperture istituzionali, dello stesso processo di riforma. E dovunque siano presenti, siamo sparsi in 10 regioni, pur nella frammentarietà e varietà delle nostre iniziative locali, siamo punto di riferimento preciso, critico e forte, perché il processo di emancipazione si spinga sino in fondo alle opportunità date, superando le contraddizioni vistose, però sempre più massicce. Penso al valore delle nostre comunità al Sud (Sicilia, Calabria, Sardegna) dove ciò che esiste di buono è molto poco. Vedevamo l'estate passata una struttura per handicappati, in Calabria, che ricordava i lager nazisti. Ma la contraddizione non è solo il Sud. Sono contraddizioni al nostro sforzo di emancipazione e a ciò che il pubblico in certe regioni ha realizzato

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