Il Bianco & il Rosso - anno I - n. 2/3 - mar./apr. 1990

.Q!L Bl.\~CO l.XII.UOSSO •h•#hlii Nuovi problemi per la casa degli anni '90 È senz'altro un dato di fatto il raggiungimento da parte della società italiana di un maggior benessere economico complessivo, elevatosi sensibilmente negli ultimi vent'anni, in corrispondenza alla crescita del paese come società industriale prima e "postindustriale" poi, il che vuol dire insorgenza di fenomeni del tutto nuovi, primo fra tutti l'esplosione di una società che produce e consuma servizi, che si riconverte da industriale a terziario, che sostituisce gli operai con gli impiegati, che rivoluziona il mercato del lavoro inventando professioni nuove, ma anche necessità di nuove manovalanze, che congestiona le aree metropolitane, la dove si concentrano le nuove città della direzionalità e del potere, di uffici ed automobili. Ma è altrettanto vero che questo sviluppo ha portato con se nuove contraddizioni, che sono destinate a svilupparsi nel prossimo futuro, creando problemi forse anche molto difficili da risolvere, con buona pace dell'ottimismo, a volte trionfante, al limite del fatuo, di certi amministratori, troppo presi dall'enfasi delle sorti magnifiche e progressive dell'urbanistica del "mundial" per preoccuparsi della effettiva estensione delle nuove aree di sofferenza abitativa. È bensì vero che la classe politica, abituata a governare con il principio della distribuzione di "panem et circenses" al volgo degli elettori, ha capito da lungo tempo che forti dosi di "circenses" possono anche sostituire, per periodi più o meno prolungati, anche il "panem", e cioè, fuor di metafora, che un'impegno sul piano della dotazione della città di quelle infrastrutture che producono immagine, oltre che sviluppo, creano consenso e di Sergio Graziosi stabilità di governo, al di là del permanere dei bisogni irrisolti di chi il consenso concede. In questo senso ben venga il "mundial" con i suoi megastadi, i suoi parcheggi, i suoi alberghi, le sue metropolitane leggere, i suoi svincoli autostradali, insomma la sua "grandeur" (ma anche l'inquinamento da traffico, e l'elevazione dei valori immobiliari, e l'espulsione della residenza e il saccheggio del verede, e l'inabissarsi della spesa pubblica nelle inesplorabili pieghe delle revisioni prezzi delle grandi opere ecc.). Tutto ciò però non elimina il dato di fatto che proprio questo quadro di, in un certo senso forsennato sviluppo, crea nuovi problemi, anche a soggetti che tradizionalmente non erano toccati dall'urgenza abitativa, oltre a produrre nuove schiere di emarginati dallo sviluppo "importante", che si affacciano oggi per la prima volta nelle aree metropolitane come protagonisti. Si tratta da una parte di tutti quei ceti di livello economico modesto, dagli operai al ceto medio impiegatizio, ma sempre di più, verso l'alto, a fasce di ceto medio formato da professionisti, artigiani, dirigenti, che non possono più reggere alle condizioni di mercato imposte per la casa dal regime immobiliare in un quadro di rampante terziarizzazione. Al costo tout court della casa bisogna aggiungere il problema della progressiva crescita dei bisogni abitativi delle famiglie, che creano domanda di case progressivamente più grandi e più belle. Circa 300.000 abitanti sono usciti, ad esempio, da una città come Milano negli anni '80, e si tratta sempre più di un esodo senza prospettive di ricambio, stante il trend di esaltazione dei valori di mercato in atto. =· 40 È inutile sottolineare come la valorizzazione del mercato immobiliare poco abbia a che fare con lo sviluppo economico, e piuttosto sia la condizione per formarsi di nuove posizioni di rendita pura, slegata da prospettive di investimento produttivo ed alimentante circuiti puramente finanziari, che a loro volta sostengono e fanno proliferare un sempre più pervasivo e quasi autosufficiente sistema della intermediazione. L'altro lato del problema è rappresentato dal consolidarsi di nuove aree marginali di bisogno radicale di abitazione, costituite oggi non più dall'immigrato dal sud in cerca di lavoro da un sistema industriale in espansione, che crea, come negli anni '60, nuova occupazione nelle città del nord, ma, ad es., dagli immigrati extracomunitari in cerca di sopravvivenza in una società che distribuisce benessere a chi il lavoro già ce l'ha; da giovani marginalizzati da un mercato del lavoro sempre più selettivo, ecc. È ovvio che il problema dell'integrazione di queste fasce sociali non può essere risolto dall'urbanistica o dalla politica della casa, ma è anche vero che questi soggetti saranno per i prossimi decenni la spina nel fianco più clamorosa per il sistema sociale, anche sul fronte dei bisogni abitativi, complicati dai problemi dell'integrazione sociale (ed etnica, razziale, ecc.). Come far fronte quindi a uno scenario di bisogni emergenti che si articola dalla necessità radicale di un tetto qual che sia (e che sia accettato dai già residenti, e non sia un elemento di esaltazione dell'espulsione residenziale e quindi della formazione di ghetti), alla necessità del garantire l'uso della città a tutti (senza doversene andare per gli

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