Il Bianco & il Rosso - anno I - n. 2/3 - mar./apr. 1990

B i.).tJ, BIANCO lXII.ROSSO iii•ii••P PCI e dintorni: speriamoche sia <<nuovo> di Giovanni Gennari - Al Congresso straordinario del PCI noi di ReS guardiamo tutti con particolare attenzione, e anche con speranza. Lo dice bene Camiti nel suo editoriale di questo numero dedicato, a caldo, all'assise di Bologna. Siamo davvero interessati alla "Cosa" che nasce a Bologna, e abbiamo chiaramente detto il perché, anche nel nostro «manifesto» di fondazione. In Italia solo con un PCI rinnovato, quale che sia il suo nuovo nome, sarà possibile un vero ricambio politico e istituzionale, che esigeun'autentica alternanza, e che da noi non può non assumere, almeno in prima battuta, dopo quarantacinque anni di governo ininterrottamente DC, il nome e i connotati di «alternativa». A noi pare che Occhetto abbia iniziato bene il suo cammino. Si può discutere un certo continuismo obbligato, si può desiderare questo o quell'accento, si può deplorare questa o quella polemica, ma la.strada è giusta, e noi speriamo sia percorsa fino in fondo. Alla realtà del PCI, del resto, dedicheremo il «Dossier» del prossimo numero de «II Bianco e il Rosso»: per guardare avanti. * * * - Che il PCI sia cambiato è difficile negarlo, anzi, impossibile. Basterà annotare che in altri tempi uno come Cacciari sarebbe stato non solo cacciato, posto che fosse dentro, ma anche indicato al disprezzo almeno politico dei militanti, per aver osato criticare non questo o quel comunista eccellente, ma il partito in blocco. Oggi invece sarà capolista alle elezioni di maggio a Venezia. Cacciari ha detto che se nel '48 le elezioni non fossero andate come sono andate e se il PCI fosse andato al Governo, l'Italia avrebbe fatto la stessa fine degli altri paesi comunisti. Difficile dargli torto. Non si trattava, infatti, di buona volontà di questo o quel leader illuminato, ma di meccanismi internazionali che producevano comportamenti collettivi, senza eccezione alcuna. - - --- - - - - -- ~ Niente autorizza a pensare con fondamento che questa eccezione sarebbe stata italiana. * * * - Uno dei rimproveri che in passato si è mosso al PCI, come noto, è stato quello della "doppiezza". Di questa doppiezza circolavano, e circolano, varie versioni, più o meno nobili. Di recente Bobbio ne ha dato la versione più nobile, segnalandola come piena accettazione del metodo democratico e contemporaneamente come permanente tensione al cambiamento del sistema. Ma non è tutto qui. Circola, ancora oggi, anche qualche altra versione della doppiezza, e si rivela dura come pietra, e constatabile da chiunque, nero su bianco. Eppure sembra che nessuno se ne accorga, o che a nessuno interessi. Il Presidente, eletto all'unanimità dal Congresso, dell'assise di Bologna, Giancarlo Pajetta, ha più volte detto di non aver nulla da rinnegare, e nulla di cui pentirsi, nel suo passato. Sarà: ma fa impressione - ed è il minimo che si possa dire - che nel suo volume «Le crisi che ho vissuto» (Roma, 1982),forse più recensito e lodato che letto, a proposito dell'era staliniana, e dello stesso Stalin, in relazione al leader del PCI di allora, e in pratica al partito intero, ha pensato bene di cavarsela così (p. 18): «Non ho mai parlato con Togliatti di Stalin». Sarà vero? Se lo è occorre dire che la situazione era spaventosa; e se non lo è, allora occorre dire che chi scrive, nonostante ogni crisi, non è ancora riuscito a essere sincero. In casi come questo neppure la doppiezza aiuta. * * * - A proposito di Stalin. Sul Corriere della Sera del 27 febbraio il corrispondente da Mosca, Andrea Bonanni, racconta su cinque colonne che «nel cervello di Stalin non c'è segno di aggressività». Da studi compiuti dall'«Istituto del cervello» di Mosca, che tiene in «cassaforte» i cervelli

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