Il Bianco & il Rosso - anno I - n. 2/3 - mar./apr. 1990

B E, soprattutto, attivando il consenso, l'allenaza dei ceti medi, suonando il tasto delle istanze corporative e di affermazione sociale di questi strati. Si afferma una ideologia, un modello socioculturale che riesce a catturare consensi molto al di là dei maggiori destinatari di reali e corposi vantaggi economici. Così il mito della casa in proprietà, ammantano anche di motivazioni ideali e religiose, diventa l'obiettivo principale cui tendere per l'affermazione individuale, per il riconoscimento di un certo status sociale. Così l'attenzione si sposta dalla domanda sociale, collettiva, di beni e servizi necessari per un ordinato sviluppo, sociale, ad una domanda tutta privata e individualistica. Queste considerazioni possono essere considerate "datate", ma sono necessarie per comprendere, ad esempio, l'arretratezza ancor oggi del settore edilizio, come settore industriale atipico; o la difficoltà di realizzare una significativa partecipazione collettiva intorno alle scelte che determinano la condizione urbana o l'assetto del territorio (fino a ieri: con il crescere della coscienza ambientalista l'attenzione su questi temi va crescendo). A sostegno di queste considerazioni molti sono gli esempi che possono essere portati; ci limitiamo a fermarci su due, in qualche modo emblematici. . Quando nel 1948 e 49 si sviluppò un grande confronto politico intorno alle proposte di Fanfani per l'istituzione dell'INA Casa, lo scontro fu tutto ideologico, contro "iniquo prelievo forzoso sui salari operai" o a favore di una ''coraggiosa legislazione sociale basata sul principio del solidarismo": nel sindacato, come in Parlamento nessuno si preoccupò di esaminare - attaccando o sostenendo - il disegno di politica abitativa che veniva avanti. Con l'unica eccezione di Ferdinando Santi, che criticava la creazione di patrimoni privati con il sostegno del denaro pubblico. E il risultato di quel programma fu notevole, senza dubbio: in 14 anni interventi per 1000 miliardi in 5000 Comuni; 350 mila alloggi, 2 milioni di vani, quasi il 10% delle nuove costruzioni, oltre 100milioni di giornate lavorative. Ma anche: creazione di ghetti operai ~!I. BIANCO lXII, BOSSO •U•#hiA lontano dal contesto urbano, senza servizi, senza collegamenti, criteri di destinazione corporative, che privilegiano le aristocrazie operaie a danno dei nuovi occupati o degli immigrati, soprattutto, incrementi dei valori fondiari circostanti di 10,100 e più volte. E in conclusione, liquidando l'INA Casa, le case praticamente regalate agli assegnatari privando la mano pubblica di un ingente patrimonio sul quale operare a favore dei bisogni abitativi più gravi. E così fu per l'INCIS, le case per gli impiegati dello Stato: quando nel 1958 ne fu liquidato il patrimonio, l'On. Valsecchi - relatore di maggioranza - affermò che il ricavato dei riscatti non avrebbe superato i 20-30 miliardi, su un valore stimato di 1000-1200miliardi. Oggi, nel dibattito sulle strategie future per il settore abitativo, la filosofia - ma sarebbe più corretto dire: il dogma - è la privatizzazione e libero mercato. E privatizzazione significa svendita dei beni demaniali, rinunciando a una loro valorizzazione sia sociale che economica, o liquidazione degli alloggi pubblici IACP (come l'INA Casa, come l'INCIS ... ); libero mercato significa annullare l'equo canone. Milano, pianta del XVI secolo. Ma raramente, in questo dibattito, si compie - o si tenta - una analisi seria della domanda abitativa insoddisfatta, delle sue condizioni economiche, delle nuove povertà che si aggiungono a bisogni essenziali non soddisfatti; o - per contro - non si parla dei tanti privilegi offerti a quella proprietà che oggi pretende mano libera: da un carico fiscale leggero e largamente evaso, a generalizzate agevolazioni e esenzioni (basterebbe parlare dell'esenzione venticinquennale sulle nuove costruzioni, in vigore fino a pochi anni fa. O, infine, non si evidenzia che lo Stato, negli ultimi 10-15 anni ha speso per la casa poco o nulla, nascondendo questa sua latitanza dietro la contribuzione ex Gescal pagata dai lavoratori dipendenti, l'unica risorsa certa e consistente affluita al settore. E se, con queste considerazioni siamo riusciti a sostenere in qualche misura - in un breve contributo - l'affermazione iniziale, una conclusione discende naturalmente: impostare una effettiva politica riformista per la casa non può significare marginali correzioni, ma vuole dire porre al centro finalmente, la questione del diritto alla casa, e la sua tutela, prima di tutto per i soggetti più deboli. Cioè vuol dire cambiare radicalmente filosofia. .f ~ .---~ .:~·-( ·,l'-.·r ifl .f\,1f.f~;?! ....,_ _ __.

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==