Il Bianco & il Rosso - anno I - n. 2/3 - mar./apr. 1990

favorire il rilancio dell'occupazione edile. Le perplessità si accentuano ulteriormente per due ordini di questioni. In primo luogo v'è da chiedersi che senso abbia una dilatazione forzata dell'occupazione in un settore che, da sempre, registra un sovra-dimensionamento di manodopera rispetto alle medie europee e che, d'altra parte, da tempo e per suo conto si sta lentamente e naturalmente riportando su valori più ragionevoli - anche se ancora molto elevati -del carico di lavoro vivo. In secondo luogo è ormai evidente a tutti che, da almeno vent'anni e in particolare al Nord, l'occupazione edile è ormai nettamente sganciata dalla dinamica dell'attività, per una serie di fattori quali l'incremento della produttività, la meccanizzazione, la riorganizzazione del lavoro e del sistema delle imprese, l'esaurimento dei serbatoi tradizionali di manodopera sottoccupata. La terza risposta è meno frequente ma più qualificante: per consolidare e far evolvere una struttura imprenditoriale in grave crisi di identità. Questa risposta si collega direttamente con il tema più specifico qui affrontato. È stata per lungo tempo convinzione diffusa che l'entità la continuità e se possibile, la programmazione delle commesse della pubblica amministrazione rappresentasse una condizione ineliminabile per la razionalizzazione dello stesso processo produttivo o, per usare un termine abusato, per l'industrializzazione del settore. Oggi questa convinzione è messa in dubbio da molti studiosi e da molti imprenditori. Cioé si ritiene: - che l'entità e la continuità degli interventi sia una condizione favorevole (specie la continuità) ma difficile da realizzare e non indispensabile per la razionalizzazione del settore; - che la razionalizzazione non passi necessariamente attraverso la industrializzazione; - infine, che i processi innovativi di razionalizzazione e di riorganizzazione non siano appannaggio esclusivo delle grandi strutture imprenditoriali (quelle appuntò esplicitamente coinvolte nelle iniziative di cui ci stiamo occupando). Mi sembra invece utile proporre una schematica sintesi delle tipologie e dei comportamenti dei diversi soggetti che {)JJ. BI.\ \'CO lX11.nosso Ut•#hlii compongono il sistema delle imprese operanti nel settore delle costruzioni. Questo per capire quali processi di trasformazione in atto siano coerenti con questa strategia imprenditoriale emergente (sia pure in termini ancora molto circoscritti) e in che misura essi siano compatibili con una politica di intervento che sembra al contrario mantenere schemi prevalentemente legati alla logica della "concentrazione" e della "quantità". Il quadro che ne esce sottolinea l'accentuarsi della frammentazione e della variegatura dei soggetti e dei comportamenti. Questo fenomeno sembra iniziare a rompere, o almeno ad articolare nei rapporti con il mercato, la formula per alcuni anni, e ancora oggi, vincente del "bipolarismo" imprenditoriale: grande impresa terziaria e di controllo da un lato, piccole imprese di subappalto dall'altro. Consente poi alcune considerazioni in generale. In primo luogo si può rilevare la tendenza accentuata alla terziarizzazione del versante 'alto', 'pensante' e con capacità di governo dei processi (grandi imprese), dove l'obiettivo più diffuso è stato ed è quello di trasformare i "costi fissi" (lavoro dipendente, tecnologie) in "costi variabili" (subappalto, cottimo). Ne consegue la delega ad altre realtà imprenditoriali (in genere di piccola dimensione nel circuito del subappalto) delle attività propriamente produttive, ma anche delle decisioni di innovazione e della loro attuazione. In secondo luogo, sembra evidente una Antica pianta della città di Napoli. = . 36 progressiva emarginazione degli operatori "tradizionali" della produzione (in particolare le medie imprese) rispetto al governo del ciclo complessivo. Per questa categoria di imprese l'alternativa alla emarginazione e alla crisi è costituita o dall'ingresso, in posizione subordinata, nel circuito del subappalto ('a corpo' o di fasi della costruzione), oppure dalla riscoperta di vecchie - e oggi comunque marginali - vocazioni "immobiliariste". Per inciso, mi sembra che questi siano gli sbocchi più probabili nell'impatto di questa categoria imprenditoriale con la strategia dei grandi interventi. In questa classe dimensionale di soggetti rientra tuttavia anche una serie di imprese per le quali la crisi ha rappresentato uno stimolo alla innovazione tecnica (specializzazione) e organizzativa ("multipolarita") e che sembrano avere accettato la sfida della "industrializzazione nella discontinuità''. La terza considerazione è che lo svolgimento delle attività più propriamente produttive sembra ormai appannaggio esclusivo - l'ho già accennato - delle fasce imprenditoriali di più piccola dimensione. È infatti noto che il modello "bipolare" ha spostato e segmentato su questo versante del sistema delle imprese le fasi operative della costruzione esaltando spesso, oltre alla produttività del lavoro, tendenze fortemente negative come l'autosfruttamento, la de-professionalizzazione, la difficoltà di controllo dei processi, la caduta della qualità del prodotto. Ma anche in queto caso si è svi- ,•' -'.'~ 77:. '" 1',' .' .... ;\··: '" ,,, .. \ ~ ' ' ,., ,,, ,. ::::·t:, '.

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