Il Bianco & il Rosso - anno I - n. 2/3 - mar./apr. 1990

B ~JJ. BIA:\CO '-XltHOSSO Ut•#hid Grandi interventiedilizi: quale impatto? Vorrei cominciare definendo così la logica dell'"interventismo" che contraddistingue i grandi progetti per le città: " ... essi hanno ben poco a che vedere con un nuovo modo, anche tecnico, di progettare e di costruire; piuttosto hanno a che vedere con circuiti di interessi parziali ed accorciati nel tempo che il sistema decisionale pensa di attivare per il rilancio di un ruolo produttivo nuovo della città, sostenuto a sua volta anche dalla ripresa del settore edilizio''. È utile partire proprio da questa sintesi, in particolare per quanto attiene al coinvolgimento del settore edilizio. Si possono sottolineare tre aspetti. II primo è quello relativo alla contrapposizione e alla incompatibilità tra logica "interventista" e logica di piano: Io slogan programmatico del "si fa quel che serve", che lega in una sequenza logica l'intervento alla determinazione del fabbisogno, è sostituito dalle estemporaneità e dall'empirismo del "serve quello che si fa". L'allusione alla filosofia quantitativa, del grande flusso di investimenti concentrati nel tempo, mi pare abbastanza chiara anche se sposta l'interesse dal solo e tradizionale comparto residenziale a un più articolato ventaglio di interventi: sulle infrastrutture, sul terziario, sulle attrezzature, e ancora, sulla casa. L'obiettivo del "ruolo produttivo nuovo della città" appare poco credibile, al di là dei contenuti reali dei progetti, proprio nella episodicità e nella modesta visione d'insieme che li caratterizza. Sembra invece più probabile la copertura a un modello di trasformazione urbana non nuovo e tutto interno alla logica del recupero, della valorizzazione e della estrazione della rendi Claudio Molinari dita fondiaria. Esso si articola, per quanto riguarda la tipologia degli interventi e degli operatori, per gradi e su scale diverse: a) eccezionali interventi "di immagine" concertati tra sistema di governo e grandi operatori privati e in grado di catalizzare reazioni a scala più ridotta, di trasformazione urbana; b) interventi di media e medio-piccola dimensione, di tipo immobiliare, interstiziali o marginali rispetto ai grandi interventi; c) piccoli interventi 'a pioggia' (prevalentemente ristrutturazioni e cambi di destinazione d'uso) striscianti e diffusi, trascinati dalle grandi trasformazioni. Il secondo aspetto riguarda I' abbreviazione dei tempi di estrazione di rendite e profitti attraverso la concentrazione nel tempo e nello spazio delle realizzazioni (cioé un circuito breve di finanziamento-realizzazione-vendita). Questa operazione esalta forme di marginalismo tecnologico e imprenditoriale negli interlocutori privilegiati dal sistema di governo locale. Risveglia cioé l'anima 'speculativa' che - caso tipico dell'imprenditoria edile - è sempre presente, magari ben mimetizzata o solo temporaneamente rimossa, anche negli operatori più qualificati. Al di là della estemporaneità delle iniziative e della natura prevalentemente finanziaria e renditiera degli interessi in gioco, è certo che la logica del "tanto in tempi brevi" interrompe o comunque ostacola nelle categorie degli operatori della produzione e della intermediazione coinvolti - e certo non privilegia negli operatori non coinvolti - quei processi di riorganizzazione programmata di impresa e quei tentativi di ricostituzione dei rapporti con il mercato in termini più mirati ed organici che da qualche tempo sembrano, sia pur faticosamente, essersi avviati. Si può infine osservare che la riproposizione dell'obiettivo della ripresa del settore edilizio rievoca circostanze, vicine e lontane nel tempo, in cui lo slogan era certo meno consunto ma, forse, altrettanto obsoleto nelle motivazioni. Oggi più che mai sono in molti a chiedersi perché si debba a tutti i costi rilanciare l'attività nel settore delle costruzioni. In genere le risposte più qualificate a questi dubbi sono, in ordine di frequenza: Per risolvere il problema della casa. La motivazione lascia perplessi se si tiene conto dei modestissimi risultati sortiti a tal fine dal boom edilizio continuato che ha caratterizzato gli anni '70. Il problema, come molti fanno rilevare, risiede nella complessa e cronica crisi che connota il mercato edilizio. E, in particolare, nella sua accentuata segmentazione " ... che comporta una sfasatura negativa tra domanda potenziale, che non riesce ad allacciarsi ufficialmente sul mercato ed offerta effettiva", in particolare quella formale e ufficiale, che non vuole o forse non ha la capacità di inventare strumenti che consentano di agganciare la consistente domanda potenziale nelle diverse forme in cui si presenta. Da questo punto di vista un rilancio indiscriminato (tale sembra essere il presupposto) dell'attività nel comparto residenziale potrebbe solo tradursi in un ulteriore incremento dello stock di abitazioni non utilizzate. La seconda risposta possibile è: per --- -- - - - ------ - -- 3.; - - --- - - - - --

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