Il Bianco & il Rosso - anno I - n. 2/3 - mar./apr. 1990

i,)JJ. BIANCO l.XII.HOSSO Uh#hid Progetti d'area e piani urbanisticicomprensivf) Le trasformazioni che hanno interessato la pianificazione urbanistica in Italia nell'ultimo decennio hanno buone ragioni. Nonostante il rammarico degli urbanisti per una certa perdita di potere e per le difficoltà che incontrano nella ridefinizione del loro ruolo, non si può non osservare come le stesse tendenze abbiano toccato tutti i campi della pianificazione e della programmazione pubblica e pressochè tutti i paesi occidentali (mentre, per inciso, i fallimenti della pianificazione di stato hanno qualche seria responsabilità nella fine ingloriosa dei regimi dell'est europeo). Nessuno ripone oggi più alcuna fiducia di principio nella capacità dell'attore pubblico di governare attraverso un piano fenomeni sociali complessi. Tutti al contrario sono disposti ad attribuire una fiducia di principio all'intervento parziale, specifico, al 'progetto' che esplicitamente non si pone obiettivi al di là dell'area limitata dell'intervento. Questo mutamento di prospettiva non può essere letto solo come l'effetto della accurata azione di demolizione della idea di piano effettuata dai conservatori nel decennio di Margaret Tatcher e di Ronald Reagan. C'è qualcosa di più. C'è un passaggio significativo avvenuto nella cultura politica e tecnica e insieme nel senso comune che richiede di essere interpretato con attenzione. Per quanto riguarda la pianificazione urbanistica, Lloyd Rodwin nel suo libro recentemente tradotto, Città epianificazione urbana (Dedalo, 1989), sostiene che la crisi del "city planning" degli anni '80 è sostanzialmente crisi di identità di una disciplina che ha alle sue spalle meno di un secolo di formazione. Utilizzando la metafora delle diverdi Alessandro Balducci me la fase attuale sia rappresentabile come quella del ridimensionamento delle aspirazioni di onnipotenza e del crollo delle illusioni che caratterizzano il periodo adolescenziale, come transizione verso un più adeguato apprezzamento delle proprie (limitate) possibilità. Secondo questa suggestiva e condivisibile lettura un problema di efficacia starebbe alla base dell'abbandono della pianificazione comprensiva. Ma come è motivo ricorrente nella storia di questo campo disciplinare sembra di poter dire che la troppo rapida adozione di una nuova forma di piano, quella basata sui progetti parziali e su un opportuno, ma purtroppo esclusivo ritorno di attenzione verso gli aspetti fisici della città, abbia impedito di riflettere adeguatamente sui motivi della crisi delle forme di piano ora abbandonate, specialmente nel nostro paese. In quasi tutte le maggiori città italiane si operano oggi trasformazioni rilevanti appoggiandole solo formalmente su piani degli anni '70 che tracciano quadri di obiettivi e di politiche ormai completamente superati. La divergenza tra azioni e piano sembra porre problemi solo ai cultori di vecchi modelli di piano, ma non dovrebbe essere così. Si affacciano sulla scena urbana nuovi problemi che nessun intervento parziale è in grado di risolvere: quello dei livelli di inquinamento e delle nuove povertà per citare solo le due più note emergenze. Ma il 'progetto' della tendopoli degli immigrati extracomunitari non lo vuole proprio nessuno. Una riflessione più attenta sul passato recente e sui risultati raggiunti dalla pianificazione urbanistica nelle nostre città li porterebbe a riconoscere che i grandi piani degli anni '70 non hanno fallito tanto per la loro comprensività quanto per la loro formale processualità, cioè per il nesso insito nella cultura 'nomodipendente' dell'urbanistica italiana tra comprensività e rigidità del piano. Non è cioè perché si sono voluti affrontare i problemi della città e nel senso della trasformazione nel loro complesso intreccio che si è fallito, ma perché si è voluto trasformare questa visione di insieme dei problemi e del mutamento in prescrizioni pressoché immodificabili, salvo ignorarle del tutto. Se questo è vero la strada della settorializzazione dell'intervento, a parti della città o ad aspetti specifici dei problemi è solo una fuga dai problemi della complessità ed una riduzione 'per decreto' dei problemi di efficacia. se fasi della vita dell'uomo osserva co- Kerin Lynch, Schemi d'interpretazione della struttura metropolitana 1960. F-----· I 2() '

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