dell'hinterland. Da tale decisivo punto di vista il voto in aula della Camera ha smentito e letteralmente capovolto sia la impostazione del disegno di legge del Governo (Ministro dell'Interno Gava), che, in omaggio al suo criterio generale, aveva lasciato semplicemente le cose come stavano, cioè un regime a tre livelli in centro (Provincia, Comune, suoi consigli circoscrizionali ribattezzati Munii.>ll. 81\ ".\:CO ll._11.ROSSO •b•#hid cipalità) e due in periferia (Provincia e Comune), sia il parere della commissione e del relatore (Ciaffi, DC), che, per escludere assolutamente l'articolazione suddetta, la aveva descritta nella relazione come un ''vivisezionamento". L'opzione della Camera si identifica, invece, sostanzialmente, nella proposta avanzata all'inizio degli anni Ottanta e riformulata compiutamente nel 1989 nel progetto ISAP di "Legge generale di autonomia dei Comuni e delle Province": due livelli di governo con funzioni distinte, entrambi direttamente elettivi, da ridefinire daccapo nel territorio per non essere adeguati, in genere, né le circoscrizioni provinciali attuali per il livello dell'area metropolitana, né i consigli circoscrizionali, per il livello di base (Comuni metropolitani). Aree metropolitane: la soluzione migliore nel contesto peggiore Secondo il testo degli articoli approvati alla Camera ed ora all'esame del Senato, ciascuna delle nove aree metropolitane italiane è organizzata su due livelli istituzionali, entrambi direttamente elettivi, come lo sono la Provincia e il Comune, e provvisti di funzioni secondo una distribuzione orientata dalla stessa legge statale con una elencazione delle materie spettanti comunque all'autorità metropolitana (la prima è la pianificazione urbanistica): I due livelli si chiamano, partendo dal basso, Comuni (metropolitani) e, rispettivamente, "città metropolitana", con strappo, che ci è inteso fare, alla Costituzione ("Regioni, Province, Comuni", art. 114), e con omaggio alla idiosincrasia di alcuni partiti per il termine costituzionale Provincia. E nel territorio la "città" e i Comuni dovranno essere individuati ex novo perché la prima, cioè l'area metropolitana, non coincide con le circoscrizioni provinciali e i secondi di E. R. risultano da una articolazione del Comune capoluogo che non necessariamente coincide con quella dei presistenti consigli circoscrizionali. La soluzione adottata in aula alla Camera non solo - come spiegato in altro articolo - è opposta e sicuramente preferibile sotto il duplice profilo della efficienza e della democrazia a quanto prospettato a Roma dal governo (Gava), dal relatore (Ciaffi, DC), dal presidente della commissione Affari costituzionali (PSI) e della cultura giuridica locale (M.S. Giannini), ma costituisce anche l'unica innovazione del disegno di legge, ispirato per il resto al noto principio del riformismo senza riforma "bisogna che tutto cambi perché tutto resti come prima". Tuttavia vi sono nel provvedimento alcuni aspetti ed alcune omissioni che possono comprometterne seriamente l'efficacia in fase di attuazione. Anzitutto è molto pericolosa l'attri- : 23 buzione della distribuzione delle funzioni tra i due livelli alla Regione, a un progetto che è parte in causa, con propri precisi interessi politici da far valere, secondo omogeneità appunto politica, a favore dell'uno e dell'altro livello e che, oltre tutto, nei primi vent'anni di vita in tema di decentramento non è stato, per dirla con eufemismo, particolarmente brillante (leggi: deleghe agli enti locali). In secondo luogo, non essendo fissati un minimo e un massimo di abitanti per i Comuni metropolitani, si facilitano "ritagli" arbitrari del territorio secondo esigenze politico-elettorali, si legittima il permanere di "Comunelli" dell'hinterland senza alcuna consistenza e quindi senza forza da far valere, soprattutto si rende possibile e comunque legittimo vanificare l'articolazione del Comune capoluogo, lasciando sostanzialmente intatto il "centro", con la sua egemonia, e limitando l'opera-
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