B ~_tJ,BIANCO '-Xli.ROSSO •IDikf)dliil sacri operati dalla polizia e dagli eserciti comunisti a ravvivarla. E dopo tutto quello che è successonei paesi comunisti nessuno può seriamente pensare che la rifondazione di un partito comunista occidentale sia un'ipotesi stravagante. Siamo infatti in presenza non della crisi del "comunismo realizzato", del "comunismo dei paesi dell'Est", di "quel comunismo" che lascerebbe aperta la questione del "vero comunismo", del "nuovo comunismo", dell'ideale del comunismo, come poco convincentemente a Bologna hanno ripetuto gli uomini del cartello del no. Siamo invece di fronte ad una indiscutibile crisi dei comunismi. Nessuno vuole negare che possa esistere uno scarto tra il comunismo e l'idea di comunismo. Ma questo scarto che teoricamente può esistere non deve offuscare il nesso che c'è tra la concezione comunista ed il comunismo reaiizzato. È infatti sulla base di questo rapporto che si sono costretti milioni di uomini che cercavano libertà, dignità, benessere, sotto regimi che hanno generato, invece, totalitarismo, oppressione, miseria. Senza denunciarlo ad alta voce Occhetto ha riconosciuto a Bologna che tutti i comunismi dei paesi dell'Est sono falliti, anche se ha discutibilmente aggiunto (probabilmente per lenire lo stato di sofferenza del partito) che la crisi investe, nella stessa misura, le socialdemocrazie europee. Si deve però pensare, come per altre questioni ripescate dal magazzino dell'usato, che si tratti di un pedaggio pagato alla liturgia congressuale di un partito per la prima volta chiamato a contarsi su mozioni contrapposte ed a sanzionare così, anche per questo aspetto, la fine della propria diversità. A Bologna non sono, per altro, mancate le indicazioni di una svolta importante e coraggiosa che possono davvero contribuire alla apertura di una fase nuova nella vita politica del Paese. Se dalla tribuna del congresso alle domande "con chi" e "per fare che cosa" il segretario del Pci non è stato in condizioni di fornire risposte meno vaghe di quelle già formulate nei mesi precedenti, sul "come" si è avuta invece la vera novità che Occhetto ha posto a fondamento della sua proposta. Il primato della politica non viene più confuso con il primato del partito. Il nuovo partito non sarà più ossessionato di aderire a tutte le pieghe della società civile con la pretesa da una parte di riassumerla e dall'altra di egemonizzarla. Contro una similè concezione Occhetto ha ad- ' 2 dirittura indicato la necessità di ''mettere in campo una vera e propria dottrina del limite del partito". Si tratta di una rottura decisiva con la cultura politica comunista ed esprime la rassicurante convinzione che il nuovo partito (come, del resto, tutti i partiti) non può più pretendere inammissibili esclusivismi. La società civile deve venire prima, non dopo, la società politica. E ad essa, agli individui che la compongono, alle associazioni, ai corpi intermedi che esprime, deve essere riconosciuto un più ampio spazio di iniziativa. Anche se Occhetto non l'ha detto si deve naturalmente aggiungere che governare sarebbe impossibile se la società non facesse, a sua volta, dei passi verso il potere politico, se non nutrisse la fiducia che nella mediazione istituzionale, non soffocatrice, ma al contrario rispettosa della dialettica sociale, si garantiscono i diritti di ciascuno e le ragioni di tutti. Si fondano così le ragioni della democrazia e del pluralismo. Con la liquidazione del centralismo democratico come regola di vita interna, la decisione di aderire all'Internazionale Socialista ed al netto superamento della cultura politica comunista nei rapporti società-Stato, il partito comunista dopo il congresso di Bologna si avvia, dunque, a trarre le conseguenze di un coraggioso processo di revisione e di rinnovamento. Un passo importante è stato compiuto. Ma quelli che restano da compiere non saranno meno impegnativi e dolorosi. Si tratta, infatti, di dissolvere la tradizione. La memoria è sempre parte importante della dignità e del1'orgoglio di un partito. La memoria delle emozioni vissute, delle battaglie sostenute. Anche di quelle sbagliate (e spesso erano sbagliate). Si deve cambiare il nome ed il simbolo del partito. Deve cambiare tutto ciò che lo ha reso "diverso", ma anche permanentemente minoritario, per renderne spendibile la forza politica ed il radicamento sociale nella prospettiva di accedere al governo in una democrazia non più ingessata dalla mancanza di ricambio. Il cammino che resta da compiere non si preannuncia facile per Occhetto. Con l'opposizione di una forte minoranza la nuova "cosa"non appare a portata di mano, mentre le elezioni sono molto vicine. Ma Occhetto sa benissimo che fuori dalla prosecuzione di un confronto coraggioso, con il dovere di una correzione complessiva, ci sono ormai soltanto gesti sbagliati e soluzioni finite.
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